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Ciaspolata a Champoluc

Di Stefano Soldà

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


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Isole Salomone – Il vero Spread !

Corso accelerato per insegnare ad umani tecnologizzati come imparare a vivere solo con quello che la natura ci offre.

I docenti? Gli KWAIO

Ronnie Butala ci disse:”…Sarete i primi bianchi che vedranno…”. “Mah…” pensai dubbioso che mi stesse prendendo in giro.
Nel 2012, in un’isola (Malaita – SOLOMON Islands) che,tutto sommato, non sembra del tutto fuori dal mondo, non pensavo potessero esistere etnie ancora così isolate da non avere avuto, fino ad ora, contatti con la nostra civiltà.
Sugli Kwaio, in effetti, non esiste che una scarsissima letteratura e, anche in rete, le informazioni sono pochissime. Solo qualche voce di amici viaggiatori raccontava di questa piccola comunità che, contro tutto e tutti, si ostina a vivere secondo le sue tradizionali regole di vita.

Condizioni ideali per andare ad approfondire di persona.

– Prima della partenza molti amici, sapendo che saremmo ritornati in Melanesia per il quarto anno consecutivo, pensavano che saremmo andati alla ricerca di spiagge tropicali, mare da sogno e paradisi perduti. Non è stato proprio così.

– Organizzare il viaggio è stato semplicissimo. In pratica, dall’Italia, non si può programmare nulla. Molte località non sono nemmeno raggiunte dalla linea telefonica terrestre e non sono contattabili.
Nessun sito internet o agganci tramite agenzie turistiche locali; non ce ne sono molte e quelle che ci sono offrono servizi per i (pochi) ricchi subacquei australiani a caccia dei relitti delle navi della flotta americana affondata di fronte ad Honiara, capitale delle isole Salomone.

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Quindi, “…On the road again, forever!”

– Avventure ci organizza uno spettacolare piano di voli con Emirates che in 36 ore ci porterà ad Honiara e poi… si vedrà. Gruppo piccolo, 8 in totale, tutti (o quasi) motivatissimi e consapevoli dei disagi cui saremmo potuti andare incontro. L’unica imprescindibile necessità, senza la quale non si sarebbe potuto raggiungere il risultato, era una conoscenza, un aggancio sul posto che potesse introdurci in quel delicato sistema di rapporti che è il villaggio di un’etnia semi primitiva.
La persona che crea il contatto deve essere amante delle sue origini, profondo conoscitore delle tradizioni, conosciuto, accettato e rispettato dagli indigeni, e con il savoir faire giusto per fare in modo che la nostra intrusione nel loro microcosmo possa essere meno traumatica possibile. Abbiamo individuato in Ronnie Butala questa persona.
Lo abbiamo scelto anche e soprattutto perché è l’unico a Malaita ad avere un profilo su Facebook e ad avere risposto al mio messaggio. La foto sul profilo è di un giovane melanesiano con i dreadlocks biondi, sorridente e gioviale. Approvato!
Ci assicura di poterci portare ai villaggi Kwaio, verrà ad aspettarci ad Honiara.

– Le isole Salomone non sono molto conosciute. Solo in pochi le sanno collocare sul planisfero e quei pochi spesso ne hanno sentito parlare a causa delle tragiche vicende legate alla seconda guerra mondiale, soprattutto per la battaglia di Guadalcanal, l’isola principale dell’arcipelago.
Honiara, capitale dello stato, è stata infatti scenario di un epico scontro fra la flotta americana e quella giapponese.
Tutti sappiamo com’è andata a finire: gli Americani hanno preso un sacco di mazzate nella Battaglia del Mar dei Coralli, di fronte all’isola di Savo; molte navi, comprese due portaerei, una corazzata e molti altri fra incrociatori e scafi da battaglia sono stati affondati dai Giapponesi e giacciono sui fondali prospicienti la capitale in numero talmente grande da avere creato l'”iron bottom sound”, il fondale lastricato di ferro.

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Gli Americani si rifecero subito dopo, intercettando e decifrando le comunicazioni nemiche.

Conseguenza di questa supremazia tecnologica fu la definitiva sconfitta Giapponese.

Le Solomon, proprio per questi motivi, sono una meta piuttosto conosciuta e ambita dai subacquei di tutto il mondo. Le bellezze di queste isole, però, non si limitano ai fondali. Purtroppo, vuoi per la lontananza da tutti i paesi occidentali, vuoi per la scarsissima organizzazione e offerta turistica, sono frequentate pochissimo.
Vi rendete conto che state andando in una nazione poco conosciuta già all’aeroporto di partenza, quando le hostess del check in vi guarderanno stupite e dovranno controllare gli elenchi delle sigle degli aeroporti perché probabilmente non hanno mai fatto un’accettazione per Honiara.
È capitato sia a Malpensa che a Fiumicino.

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Avrete la conferma di questa sensazione quando, gironzolando per il centro di Honiara, non vedrete altri bianchi a eccezione di pochi militari australiani e qualche contractor neozelandese.

Dal sito della Silent World, una compagnia di trasporto locale, vedo che ci sono connessioni quotidiane daGuadalcanal a Malaita. Perfetto! Atterriamo ad Honiara alle 20 e la mattina alle 6 siamo già con Ronnie Butala in attesa del traghetto sul molo principale di Point Cruz.

– Ronnie è stato di parola. Come promesso è venuto ad attenderci all’aeroporto, ma non l’ho riconosciuto subito; la foto del suo profilo FB è di almeno 20 anni fa. Nel frattempo, il fanciullo, si è sciupato parecchio! Di fronte a me trovo un barilotto di un quintale, pelato, con pochi denti sparpagliati in bocca e pure arrossati dal betel.
Mi saluta sorridente. Penso che siamo in una botte di ferro!

– La nave è grande e veloce, molto meglio delle previsioni. Inoltre c’è poco mare e si fila spediti. Dopo un’ora facciamo la prima sosta al molo di Tulagi, la prima capitale delle Solomon, poi attraversiamo il Sandfly Channell fino a sbucare nell’oceano aperto. Le onde diventano di 2 metri e ci accompagnano per 4 ore, fino a destinazione: Auki – Malaita.
Arriviamo verso mezzogiorno, sole di fuoco e 90% di umidità; ah!….dimenticavo la nausea…

Auki è la seconda città più importante delle Solomon. Tutti ci domandiamo come sia possibile, dato che si tratta di poco più di un villaggio, con strade in terra battuta e rari camion infangati posteggiati nei pressi del pontile, in attesa di essere caricati con le merci arrivate dalla capitale.
Troviamo alloggio in una delle tre guest house della città, felici che, perlomeno, ci sia l’acqua corrente, ma solo finché è in funzione la pompa.

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– La zona abitata dagli Kwaio è sulla costa est, quella opposta rispetto ad Auki, e dobbiamo trovare un mezzo di trasporto per attraversare l’isola. Sono solo una settantina di kilometri e non sospettiamo
affatto che siano un mare di fango e pietre.In effetti, solo ora scopriamo che Malaita è una delle
isole più piovose del mondo! Grazie a Ronnie troviamo un pick up Toyota disposto a portarci ad Atori, sulla costa est, da dove cercheremo una barca per risalire il fiume fino alla zona Kwaio.

– Alle prime luci dell’alba siamo pronti a partire. Saliamo sul cassone dell’ hi-lux con tutte le provviste, soprattutto acqua, per qualche giorno di autonomia. Si parte! Percorsi 500 metri ci fermiamo a fare benzina. Grrrr….Da anni viaggio per il mondo è non ho ancora capito perché tutti (tutti!) gli autisti non fanno rifornimento di benzina prima di partire!
Di quella sosta approfittano una decina di autoctoni che saltano sul cassone o si appendono al roll bar perscroccare un passaggio. Intuiamo che quel tragitto non sarà agevole. Che l’intuizione sia azzeccata lo capiamo dopo aver percorso i primi kilometri, quando la strada, inizialmente sterrata, ma battuta bene, si trasforma in un pantano roccioso che si inerpica sulla montagna. Non sappiamo dove attaccarci dato che ci sono mani su ogni tipo di appiglio.
Durerà quattro ore. Durante questo tempo si alterneranno due temporali, uno dei quali sembrava il giorno del giudizio, e due ore di sole implacabile sulle nostre fronti.

– Arriviamo frolli all’imbarcadero di Atori. Sono le 14 e solo la gran fame ci impedisce di lamentarci delle ammaccature subite nel pick up. Alcuni ragazzini ci portano dei cocchi che beviamo avidamente; un chioschetto ci procura alcune scatolette di carne cinese …et voilà! Il pranzo è servito.
Nel frattempo arriva la banana boat che dovrà accompagnarci lungo il fiume. Facciamo conoscenza con Wesley. È il maestro della scuola locale. È uno Kwaio di fiume, cioè di quelli coperti con i vestiti e i più avvezzi alle comodità, se per “comodità” si intende avere una pentola o un machete, una zappa di ferro
o un paio di infradito cinesi.
Sembra una persona molto buona e parla un ottimo inglese. sempre a voce bassa. È molto gentile e la sua gentilezza stona parecchio con lo spadone di ebano che non abbandona mai, nemmeno per un istante. Dice che gli serve per autodifesa (!): notiamo, infatti, che tutti gli uomini portano al fianco chi una mazza, chi uno spadone, chi un arco con frecce. Tutti attrezzi rigorosamente in legno di ebano, nero, pesante e durissimo.

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Dovremo fare tappa al suo villaggio sul fiume, perché non è possibile arrivare ai villaggi sulle colline prima che faccia buio. Sul fiume c’è più gente perché la vita è più facile. Si può pescare, ci sono le palme da cocco e la terra è molto fertile e facile da lavorare.
Anche per i religiosi cristiani, che per primi hanno “colonizzato” queste terre, è stato decisamente semplice convertire gli indigeni del fiume alle leggi della Bibbia.
Ma, come spesso accade, i montanari sono meno inclini ad assoggettarsi a culture diverse dalla loro.
L’esempio degli Kwaio è emblematico.

– Ad Atori saliamo sulla banana boat che ci porterà al villaggio sul fiume e anche stavolta subiamo l’arrembaggio di scrocconi che chiedono un passaggio. Per fortuna il tragitto è più breve e rimaniamo appollaiati “solo” per tre ore. Già eravamo frolli, ora siamo sfiniti.
Per fortuna il villaggio è accogliente.Subiamo il piacevole assalto dei bimbi che ci aiutano a
sbarcare i bagagli e ci mostrano i nostri spazi all’interno delle loro abitazioni.
La capanna, come ho detto, è accogliente. Il fiume è troppo lontano e ci portano alcuni secchi d’acqua per lavarci dal sudore e dalle creme solari che ci impiastricciano il volto. Per cena una sorpresa: dato che è una situazione particolare anche per loro, uccidono un maiale che cucinano alla melanesiana (cioè ripieno di patate dolci, avvolto in foglie di banano e sotterrato con pietre roventi).
Tutto ok: unica rimostranza, che però non ho avuto il coraggio di rivolgere al capo, sarebbe stata relativa ai materassi in gommapiuma di cui ci avevano dotati, che, per così dire, non erano proprio asettici. Piuttosto che combattere con le pulci che mi stavano mordendo, ho preferito dormire nel sacco lenzuolo, sopra una stuoia di bambù. Del resto quei materassi erano i loro e sarebbe stato certo scortese criticarli o lamentarsene.

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Questa attenzione mi è costata decine di morsi di pulci alle braccia, che mi hanno ricordato quella notte per un paio di settimane.

– I galli ci danno il risveglio molto prima dell’alba…maledetti! La colazione è pronta! Cassava, taro e il maiale avanzato dalla sera precedente. Non c’è che dire, uno splendido inizio di giornata.

Partiamo con il solito barchino e per un’altra ora risaliamo il fiume. Oltre a Wesley (che sarà la nostra guida), stavolta ci sono 10 portatori, quattro barcaioli e due giovani donne, Betty e Mary, che faranno da accompagnatrici a Patrizia, l’unica femminuccia del gruppo.
Durante il percorso Wesley mi racconta degli avvenimenti cruenti accaduti in quei posti: “Vedi” mi dice, “in quell’ansa, il mese scorso, una donna è stata divorata da un coccodrillo”, e poi: “Sotto quell’albero, lo scorso anno, abbiamo trovato i resti di un prete ucciso e cannibalizzato…”.
Ometto alcuni dettagli al resto del gruppo.

Wesley continua nei racconti, dice che questi micro villaggi, formati al massimo da tre o quattro famiglie, hanno avuto contatti con i religiosi bianchi molto tempo fa e, più di recente, alcuni preti salomoniani hanno cercato di introdurre il cristianesimo in quelle zone dove la religione tradizionale legata al culto degli avi è molto radicata. Il risultato è stato drammatico: gli insegnamenti cristiani non sono stati graditi e lo scorso anno uno dei preti è stato trovato ucciso. Il responsabile dell’omicidio, un giovane e ambizioso capo villaggio, ha dovuto compensare quella vita con alcune collane di shell money, così come previsto dalle loro leggi tribali.

Anche Wesley ci conferma che saremo i primi bianchi ad andare in quella comunità. Per questo si raccomanda,ammonendoci di rispettare le loro norme di comportamento, i loro tabù.
Ce li elenca:
• Chiedere a lui prima di fare qualsiasi cosa.
• Chiedere a lui dove passare all’interno del villaggio perché alcuni passaggi sono tabù o riservati agli
uomini.
• Divieto assoluto di lasciare qualsiasi tipo di rifiuto, soprattutto fazzoletti o carta igienica.
• La toilette è lontana circa 100m dal villaggio ed è separata per donne e uomini. Divieto assoluto di
lasciare tracce organiche vicino al villaggio.
• Le donne per andare alla toilette devono denudarsi COMPLETAMENTE. Non è consentito indossare neppure le
calze e le scarpe: unica deroga è una foglia di banano per coprire le parti strategiche.
• Le donne mestruate devono usare una toilette separata.
• Le donne mestruate devono dormire in una capanna, appositamente adibita, adiacente, ma separata dalle
altre.
• Divieto di fotografare senza permesso e, in ogni caso,mai le donne.Ne prendiamo atto e gli garantiamo che faremo del nostro meglio.

– Sbarchiamo sulla sponda fangosa del fiume. Ciascuno di noi viene adottato da un portatore di zaino.
Gli altri due ragazzi e le donne porteranno l’acqua. Si parte.
Di fronte a noi la collina è coperta da una giungla fitta,tagliata per pochi centimetri da un piccolo sentiero che necostituisce l’unica via di accesso. La vegetazione non è molto varia: in basso palme da cocco e poche coltivazioni di taro e cassava, in alto arbusti dal tronco medio-grande e, soprattutto, bambù, di quel bambù grosso di fusto, ma sottile, appuntito e tagliente una volta spezzato.
Ovunque radici insidiose, pietre e un mare di fango.

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Dopo pochi kilometri la salita diventa ripidissima e sempre più fangosa. Ci si mette anche il sole a rendere tutto più faticoso ma, pensiamo per consolarci, sempre meglio della pioggia!
In pochi minuti e varie scivolate siamo statue di fango. La rabbia (leggi invidia) maggiore è data dal confronto con i ragazzi che ci portano gli zaini: loro zompettano a piedi nudi fra una radice e una pozza di fango senza procurarsi neppure uno schizzo sui loro abiti cenciosi, mentre noi,con pedule professionali e abbigliamento tecnico, ci muoviamo come l’orso Yoghi in una pista di pattinaggio.
La salita è davvero pesante. A circa metà del percorso Antonio, 110kg, collassa e sviene. Lo reidratiamo con sali, zuccheri e barrette energetiche, e dopo una mezz’oretta è in grado (si fa per dire) di proseguire.

Lentamente, molto lentamente, con frequentissime soste e dopo quasi 5 ore di marcia, arriviamo nei pressi del villaggio. Wesley dice che “loro” ci stanno guardando già da parecchi minuti; ci fa un riepilogo delle norme da rispettare e ci incoraggia a proseguire! Ci apprestiamo a un ingresso trionfale fra le poche capanne che intravediamo nella boscaglia che, nel frattempo, si è diradata.
Ci sentiamo come la Colonna Starace all’ingresso di Gondar ai tempi dell’Impero.
Luca ed io siamo in testa al gruppo, tutti e due siamo alti circa due metri, ma quando, a pochi passi dalla prima capanna, una quindicina di omoni armati di mazze e con i corpi dipinti, sbucano come spettri arrabbiati dai cespugli, proviamo un certo disagio (…non lo nascondo…) È la loro accoglienza.

Sono completamente nudi, solo una foglia copre le parti intime.Onestamente, non mi aspettavo di trovarli così arretrati.Non sanno chi siamo e, soprattutto, cosa vogliamo da loro. Wesley interviene prontamente e ha un bel da fare a spiegargli che NON siamo preti, che NON vogliamo insegnare nulla e che, soprattutto, siamo in visita da loro solo per conoscerli e confrontare i nostri diversi modelli di vita.
Sembrano comprendere. L’espressione dei loro volti, in un attimo, da corrucciata e minacciosa, si trasforma in amichevole e il capo villaggio mi viene incontro con la mano aperta in segno di saluto.
Sì schierano in fila e facciamo le rispettive presentazioni.

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Sono solo poche capanne per tutta la comunità. Una per il capo, una per gli uomini, una per le donne, una per discutere e consumare i pasti e un’altra per le donne mestruate. Ci riservano quella più grande, con il focolare al centro e due lunghe panche di bambù dove possiamo coricarci.
Subito ci offrono acqua in contenitori di bambù, sulla cui sommità è arrotolata una foglia di banano a formare un piccolo imbuto da cui bere.
Anche se consapevoli di correre un piccolo rischio, beviamo tutti dalle loro improvvisate borracce.
È ormai pomeriggio inoltrato e le attività fervono. Chi va a cogliere le noci di betel, chi va a prendere l’acqua, chi sta ad osservare curioso i nostri movimenti.
Noi stiamo attentissimi a rispettare le loro regole. Il problema si pone quando Patrizia deve andare alla
toilette. Si mobilitano le sue due accompagnatrici e le spiegano come comportarsi. Le vediamo sparire dietro le fronde e, dopo pochi secondi, i vestiti, tutti i vestiti di Patrizia (scarpe e calze comprese), sono appoggiati sulla roccia dell’empietá, dove si lasciano gli oggetti impuri.
Così, la poveretta, come mamma l’ha fatta, si infanga fino al ginocchio per fare una pipì…
La stessa trafila sarebbe stata necessaria anche nel caso di una “sortita” notturna. Nel qual caso sarebbe stata proibita anche la torcia sempre per il motivo che sarebbe tornata impura dal luogo meno sacro del villaggio Non ricordo di averla più vista bere fino al momento della nostra partenza dal villaggio.
Appena prima del tramonto arrivano le donne. Quelle non ancora sposate sono completamente nude. Quelle invece che hanno già preso marito indossano una piccola stringa rossa sui loro fianchi.
Non ho mai incontrato etnie così primitive. Niente ferro, plastica, tessuti, pentole o altre modernità.
Nessuna lanterna, candela o pezzi di carta. Non hanno nulla che non sia legato alla loro piccola terra.
La cosa più dura che possono avere è la pietra, poi hanno il legno, le ossa, le foglie.

Niente chiodi: tutte le diverse parti delle capanne sono tenute insieme con incastri oppure legate con corde vegetali.
Nessuna pentola: cucinano infilando gli alimenti (soprattutto patate e taro) nei loro bambù verdi e poi li
appoggiano sulle braci fino a carbonizzarli. Il gioco è fatto. Non hanno neppure il denaro; la natura offre tutto ciò che serve. Per acquistare una moglie oppure per i reati che comportano delle compensazioni si usano le collane di conchiglie, le shell money, oppure i maiali.

– Stavamo tutti sulla spianata di fronte alla casa degli uomini a guardare il tramonto quando due Kwaio arrivano dal sentiero. Li vediamo incoccare le frecce negli archi e avanzare sospettosi. Wesley gli cammina incontro agitando la sua durlindana e gridando frasi a noi incomprensibili,ma dal significato simbolico molto esplicito. Quegli uomini, semplicemente, non erano al corrente della nostra presenza; vedendoci, si sono impauriti e, non sapendo con chi avevano a che fare, hanno pensato di risolvere il
dubbio prendendoci a frecciate. Uno in particolare sembrava veramente furibondo per il fatto che noi fossimo nel loro villaggio. Lo vedevamo discutere molto animatamente con il capo villaggio gesticolando e mulinando la sua mazza in modo inquietante.
Da quel momento in poi lui per noi sarà “faccia da matto”. Dopo che gli spiegano le nostre pacifiche intenzioni si dà una calmata, ma ci rimarrà sempre alle terga per controllare i nostri movimenti.

– Nel frattempo le donne hanno finito di cuocere la cena e arrivano nella nostra capanna per servircela. Apparecchiano il pavimento di terra battuta con alcune foglie di banano e ci rovesciano sopra decine di tuberi fumanti fuoriusciti dai bambù carbonizzati. È la nostra cena.
Ci accorgiamo che ci stanno trattando meglio che possono confrontando i tuberi che mangeranno loro con quelli destinati a noi: a loro quelli grossi e duri mentre per noi quelli piccoli e teneri. Una cortesia decisamente apprezzabile.

Nonostante questi riguardi, non riusciamo a mangiare una tale quantità di farinacei! Inoltre integriamo tutti quei carboidrati con alcune barrette energetiche bruciandone le cartacce immediatamente dopo averle consumate, quasi di nascosto.

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– Dopo aver cenato, la comunità si divide fra uomini e donne. Tutti e due i gruppi cantano canzoni che hanno come soggetto vecchi ricordi, abitudini e situazioni da tramandare ai più giovani.
E forse nulla più di una canzone o una nenia riesce a rendere vivi i ricordi e a continuare, così, la propria storia, la propria cultura. Unico modo per le popolazioni che non conoscono la scrittura.
Wesley, infaticabile, ci traduce il significato di quelle storie. Gli uomini cantano di combattimenti, di come costruire le case, di come lavorare la terra.
Le donne cantano, indovinate un po’, di amori impossibili; le ragazze sognano di essere acquistate come mogli da improbabili capi villaggio, disposti a pagarle con tantissime collane di shell money, di quelle brune, le più pregiate. Tutto il mondo è paese….
Ad un tratto, Wesley richiama la nostra attenzione. Le donne stanno improvvisando, in una sorta di free
styling, una nuova canzone che ha noi come soggetto.

Il testo dice che siamo arrivati fra loro come una tempesta, che ci siamo comportati bene, ma che siamo troppo diversi. Cantano di come ci hanno accolti, di quanto impegno hanno messo nel preparare il cibo e che, nonostante i loro sforzi, noi non lo abbiamo gradito (!!!), cantano del fatto che loro sono sporchi e nudi, mentre noi siamo vestiti e abbiamo la luce (le torce frontali). Cantano che forse non sarebbe sbagliato indossare i vestiti e adeguarsi a quanto dicono i preti avventisti, come hanno già fatto gli Kwaio di fiume. Rimaniamo basiti! Ho ripensato molto a quelle parole e, nonostante Wesley abbia sminuito la loro valenza, non riesco a dimenticare quelle donne e quella situazione.

– Ci ritiriamo nella capanna a discutere su quella canzone mentre “faccia da matto” entra con in mano una fiaccola accesa rischiando così di incendiare il tetto fatto con le foglie di sago. Gesticola e parla ad alta voce; non bisogna essere dei fenomeni per capire che non gli siamo simpatici e che non capisce cosa facciamo nella sua casa. Tutti cercano di contenerlo e, brontolando, esce per andare chissà dove.

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Gli altri uomini si radunano intorno al fuoco e parlano per tutta (tutta!!) la notte!!!
Noi, coricati sui bambù, con cani e maiali che passano fra le nostre gambe e affumicati da un focolare di legna umida,cerchiamo di dormire. Inutilmente.

– Non posso scrivere del risveglio perché, in pratica, non c’è stato visto che non abbiamo chiuso occhio.
Ci alziamo comunque dai bambù alle prime luci dell’alba. I maledetti galli sono già operativi da qualche ora. Ci portano la colazione in casa: le patate avanzate la sera precedente riscaldate sul fuoco e insaporite col fumo. Stavolta cerchiamo di mangiarne il più possibile, ma non riusciamo comunque a finirle.
Ci prepariamo a scendere a valle. Tutti gli uomini si schierano in fila per salutare quegli intrusi che hanno portato lo scompiglio nella loro tranquilla quotidianità. Viene il turno di Faccia da Matto; porta al collo una strana collana con un conchiglione al centro e una serie di pendagli che sembrano denti umani.
Stamattina sembra meno scorbutico. Gli pongo la domanda.Con l’aiuto di Wesley mi dice che sono i denti di un suo nemico che lui ha ucciso in combattimento.
Così ha cresciuto il suo status sociale all’interno della comunità, anche se ha dovuto risarcire la famiglia della vittima con tre collane di shell money. Vedendomi interessato vorrebbe regalarmela, ma purtroppo, spiega, non me la può dare altrimenti dovrebbe uccidere un altro uomo e non può permettersi altre compensazioni in shell money.
Lo tranquillizzo dicendogli che non sono offeso e che non vorrei mai privarlo di un simile capolavoro.
Lui sembra sollevato, sorride gioviale e, piuttosto che niente, mi regala il suo spadone di ebano dicendo che è quello con cui ha recuperato i denti per la collana. Wesley consiglia di accettare.

– La discesa, come spesso accade, è peggiore della salita.Fortunatamente non è piovuto ed il fango si è parzialmente asciugato. Non scorderò comunque tutti i mozziconi di bambù tagliente che ci facevano da scivolosi scalini!…
In qualche situazione abusiamo della gentilezza e della disponibilità dei nostri accompagnatori facendoci aiutare. Dopo circa tre ore siamo al fiume. Le ginocchia tremano e le gambe vanno ormai per conto loro.
Infangati dal giorno precedente ci buttiamo nel fiume con tutti i vestiti addosso, scarpe comprese. La corrente e la sabbia li puliranno da tutta quell’argilla che abbiamo accumulato.
Il più è fatto. Non resta che riprendere la barca per Atori, il pick up per Auki e il traghetto per Guadalcanal. Facile a dirsi.
Questa storia, però, la facciamo finire qui. Potrei continuare a raccontare di come il barchino, a
causa della bassa marea, non riusciva a uscire dalla foce del fiume; o che pick up non è venuto a prenderci perché aveva bruciato la frizione e, a causa di questo imprevisto, abbiamo dovuto pernottare nella scuola di Atori, elemosinando cibo e acqua di cocco; oppure dell’insetto che ha fecondato la gamba di Roberto depositandogli all’interno qualche dozzina di piccole uova che poi abbiamo dovuto asportare creando una piccola voragine all’interno della sua coscia…
Ma, appunto, sono altre storie.

Poco importa se siamo stati i primi, i secondi o i terzi bianchi con cui sono entrati in contatto gli Kwaio del villaggio, quello che conta e che resta sono le emozioni che abbiamo provato insieme, ciò che abbiamo imparato da loro e ciò che gli abbiamo lasciato di noi.

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Allora… Qual è il vero Spread? Quello che ci viene imposto dalle leggi del nostro mercato o quello che rende unico ogni popolo?
Quelle tra noi e gli Kwaio, secondo me, sono le vere e uniche differenze che bisognerebbe rispettare per vivere tutti nel migliore dei mondi possibili.

Carlo Castagna


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Cena Natale 2012 – Angolo dell’avventura di Milanocentro

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Aperitivo Discovery

Category : Aperitivi

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Aperitivo Discovery 

B4 – Via Atto Vannucci 2 – Milano

Un successo che cresce Serata dopo serata. Gli Aperitivi Discovery sono
un’appuntamento informale dedicata agli appassionati di viaggi che vogliono
raccontare le loro Avventure, avere informazioni di prima mano sui viaggi e
sulle destinazioni, scoprire le varie iniziative organizzate dall’Angolo di
Milano, oppure semplicemente conoscere nuovi amici che condividono la
nostra passione per i viaggi.

Vi aspettiamo quindi al:
B4Before
in via Atto Vannucci 2 (angolo via Ripamonti) Milano raggiungibile anche
con la metropolitana linea 3 (fermata Porta Romana)
queste le date:

  • Mercoledì 21 ottobre 2015
  • Mercoledì 19 novembre

gli aperitivi cominciano alle 19.30 e non occorre prenotare

Per maggiori informazioni potete contattare:
Luigi Rinaldi – rinaldi.lg@gmail.com Andrea Capra – mail@andreacapra.net

 


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Jordan on The Rocks

 

 

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Egitto

3000 anni di storia lungo il Nilo e nelle oasi del deserto.
Un’assaggio della proiezione di Delia Bocceda

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Nilo Mar Rosso

Viaggio in se è molto semplice, entusiasmante e coinvolgente. A partire dalle varietà dei paesaggi che si incontrano lungo il percorso (il tratto di valle che noi percorriamo, dal delta del Nilo ad Abu Simbel, il corso del fiume traccia una striscia fertile lunga centinaia di chilometri e delimitata da zone desertiche e aride colline) all’ospitalità degli egiziani (che fanno della contrattazione un’arte, così come il “baksheesh” una continua richiesta di mance qualsiasi cosa voi facciate). La scelta dei siti è stata fatta rispettando le autorizzazioni della polizia, visitando anche siti trascurati dal turismo di massa e non soffermandosi sulle sole località di maggior interesse turistico, vedi la città di Alessandria.

Il Cairo – Giza – Saqqara – Menfi

Per chi si avvicina per la prima volta all’arte ed alla cultura dell’antico Egitto si trova di fronte ad una materia tanto vasta da risultare quasi impossibile averne una visione completa. Iniziare quindi l’approccio con questa civiltà visitando il museo egizio sembra quasi indispensabile per avere un’immagine più chiara di quanto gli egizi seppero realizzare nel corso dei secoli.  Nel momento in cui accedi al museo hai come l’impressione di entrare all’interno di un immenso magazzino con un ammasso di meravigliose opere d’arte ammucchiate li e dimenticate. Nelle oltre 100 sale il museo ospita più di 100000 reperti risalenti alle diverse epoche della storia egiziana antica, per rendere ancora più incredibile la cosa stimando la visione di un minuto per ogni singolo reperto non basterebbero nove mesi. Fatta questa premessa si consiglia di andare a vedere il museo con una guida e se il tempo lo consente varrebbe la pena tornare a far visita dopo aver visto i vari siti archeologici disseminatati lungo tutto l’Egitto.

Con una prima infarinatura di storia dell’antico Egitto iniziamo la nostra avventura nei vari siti archeologici più famosi e frequentati e quelli meno battuti dal turismo di massa. La necropoli di Giza sorge alla periferia di Il Cairo (circa 12Km), questo sito archeologico è il simbolo dell’Egitto e della sua storia millenaria (una delle sette meraviglie al mondo). La piana è dominata dalle tre grandi piramidi, dalla Sfinge e dalla Barca Solare. La piramide di Cheope desta molto stupore ed ammirazione per la sua mole e la precisione con la quale è stata costruita più di 4500 anni fa. Passiamo poi a vedere la piramide di Chefren che per dimensioni è inferiore rispetto a quella di Cheope, ma appare più imponente in quanto fu costruita in una posizione leggermente più elevata rispetto all’altra. Infine arriva il tanto sospirato ed emozionante momento con l’ingresso (£10pax) all’interno della piramide di Micerino la più piccola delle tre (è vivamente sconsigliato entrare se si soffre di claustrofobia, conviene portare con sè una torcia). Ci sono poi il museo della Barca Solare e la Sfinge, le barche molto probabilmente venivano utilizzate per trasportare le mummie dei faraoni attraverso il Nilo fino al Tempio e sotterrate nelle vicinanze della piramide affinché i faraoni potessero giovarne per il viaggio nell’aldilà, infine ci soffermiamo davanti alla Sfinge con la testa umana e il corpo è quello di un leone accovacciato simbolo del potere regale.

Andando verso sud si raggiunge poi il grande sito archeologico di Saqqara che ospita una delle più antiche necropoli faraoniche dell’Egitto dove il paesaggio è dominato dal deserto. A differenza della piana di Giza questo sito pare sia trascurato dai turisti. Saqqara era considerata la necropoli di Menfi quando questa era la capitale dell’Egitto, qui venivano seppelliti faraoni i membri delle loro famiglie ed animali sacri (qua infatti le mastabe abbondano e sono generalmente ben conservate). Una visita approfondita richiederebbe la sosta di un’intera giornata ma noi vediamo solamente la parte settentrionale dove personalmente ci sono i luoghi di maggior interesse. Vediamo il complesso funerario di Djoser con la sua piramide a gradoni. Si tratta della più antica piramide egiziana, progettata dal visir Imhotep architetto e medico di corte. La piramide fu costruita in 5 fasi, partendo da una iniziale mastaba, utilizzando per la prima volta la pietra calcarea e non i mattoni d’argilla (che ha permesso la conservazione nel tempo). Ci addentriamo poi all’interno della piramide di Teti, dove possiamo ammirare il sarcofago posto all’interno della camera mortuaria. Ci spostiamo a Menfi che dista solo 3Km dalla necropoli di Saqqara. Oggi della capitale dell’antico regno rimangono visibili pochi resti degni di nota (a causa delle inondazioni del Nilo) che sono il colosso in pietra calcarea di Ramesse II (molto simile a quella che si trova a Il Cairo nel centro di Midan Ramses) custodito in un’apposita costruzione moderna e una sfinge in alabastro.

Al Minya – Beni Hasan – Tell al Amarna – Asyut                         

 Sulla sponda orientale del Nilo a metà strada tra le antiche città reali di Menfi e di Tebe si trova la necropoli di Beni Hasan. Per giungere alla necropoli si deve attraversare il Nilo in battello ed una volta giunti sull’altra sponda si attraversa una zona di palmeti e di campi verdeggianti. L’antica necropoli del medio regno annovera 39 tombe, scavate nella roccia di pietra calcarea lungo il fianco della collina. Purtroppo sono solamente 4 (pare anche le più belle) quelle visibili: la tomba di Kheti (n.17), la tomba di Baquet (n.15), la tomba di Khnumhotep (n.3), la tomba di Amenmhet (n.2). Le decorazioni degli ambienti interni ritraggono scene di vita quotidiana, di caccia, pesca e danza. Il sito oltre ad essere interessante è anche molto bello perché dall’alto si ha la possibilità di notare il netto contrasto tra l’inizio del deserto e la rigogliosa verde valle del Nilo. Andando sempre verso sud visitiamo Tell al Amarna ed è qui nel medio Egitto che sorgono le rovine dell’antica capitale chiamata Akhetaton dedicata al nuovo Dio, capitale della rivoluzione religiosa detta ”amarniana”. Il centro sorse per accogliere nuovi tempi dove praticare il culto del dio Aton ed il palazzo reale (una volta allontanato da Tebe) su desiderio di Amenhotep IV (e sua moglie Nefertiti), sovrano della XVIII dinastia meglio noto con il nome che egli stesso scelse “Akhenaton”. Ebbe il coraggio di contrastare il potere della casta sacerdotale tebana con relativo oscuramento di tutte le divinità tebane incluso Amon e con l’esaltazione di un solo Dio, Aton, il disco solare. Alla morte di Akhenaton la città di Akhetaton fu abbandonata circa 15 anni più tardi, le opere furono completamente rase al suolo e le pietre dei suoi tempi riutilizzate per costruire nuovi santuari . Visitiamo quindi le tombe Huya(1), Mery-ReII (2), Amhose(3), Merirye(4), Mahu(9), Panehse(6) e ciò che rimane di quello che era una volta il palazzo di Maru Aten. I rilievi di queste tombe danno un quadro suggestivo della vita della corte amarniana, con scene che ritraggono la famiglia reale a palazzo o durante le cerimonie.

Asyut – Sohag – Abydos – Dendara – Luxor

A circa 100Km a sud da Asyut si trova Deir al – Abyad (12Km da Sohag) famosa per il monastero bianco, costruito nel IV secolo d.C. utilizzando blocchi di pietra calcarea bianca di un tempio risalente all’epoca dei faraoni.

Molto rapidamente poi ci rechiamo a Deir al – Ahmar per far visita al monastero rosso (di proporzioni minori), non abbiamo la possibilità di vedere gli affreschi lì presenti in quanto si trova in ristrutturazione. Lasciato il monastero ci dirigiamo verso i templi di Abydos a circa 145Km a nord di Luxor. In origine la località fu utilizzata come necropoli della vicina città di This (prima capitale dell’Egitto unito nel 3000 a.C.), in quest’area sono state riportate alla luce circa 350 tombe alcune delle quali di origine regale altre riservate ad animali sacri. Il luogo era centro del culto del dio Osiride (la leggenda vuole che qui fosse sepolta la testa del dio dopo che il fratello Seth l’aveva ucciso e dopo averlo fatto a pezzi il corpo venne sparso in 14 località lungo la valle del Nilo), ma i monumenti più apprezzabili del luogo, fra i più importanti e meglio conservati di tutto l’Egitto, sono il tempio di Sethi I (splendidi i rilievi sui muri che descrivono i riti che venivano officiati qui) il retrostante cenotafio “sepolcro virtuale” o Osireion destinato esclusivamente all’anima del defunto, (la cui tomba è situata valle dei re a Tebe ovest) e il vicino tempio di Ramesse II situato a circa m 400 dal tempio di Sethi I, anche se parziale (perché il tetto è crollato) sono presenti degli interessanti geroglifici colorati.

Scendendo ancora verso sud si trova Dendara (città situata a 60Km a nord di Luxor). Nel sito oggi rimane soltanto un tempio di epoca tolemaica, dedicato alla dea Hathor (dea del piacere e dell’amore) e sorto alla fine del I° secolo a.C. il tempio è famoso per le sue raffigurazioni del cielo con i pianeti dipinti sul soffitto. Il tempio di Hathor sorge isolato al margine del deserto occidentale, nelle varie sale si possono ammirare scene che mostrano imperatori romani portare delle offerte alla dea, dipinti con figurazioni cosmiche, astrologiche (lo zodiaco circolare in pietra arenaria posto sulla sommità nord della terrazza in una cappella dedicata ad Osiride l’originale si trova al Louvre) e geroglifici. Accanto al tempio di Hathor vi sono altri edifici o ruderi di grande interesse. Il primo era il piccolo tempio della nascita di Iside, il lago sacro dove venivano celebrati i misteri del culto di Osiride, i resti in mattoni del “sanatorium” in cui i malati venivano a seguire cure termali, un mammisi romano o tempio del parto in onore di Hator e del figlio Ihy.

Lasciata Dendera proseguendo sempre verso sud si arriva a Luxor (nome attuale che deriva dall’arabo el-Uqsor “castelli” o “costruzioni” e risale all’epoca dell’imperatore Diocleziano 284-305 d.C.), una delle più importanti destinazioni turistiche dell’Egitto, grazie alla meraviglia dei suoi monumenti e al loro stato di conservazione. La cittadina è la base turistica per la visita dell’antica Tebe.

Luxor (valle dei Re e delle Regine)

I sovrani del Nuovo Regno (1550-1075 a.C.) costruirono i loro templi sulla sponda occidentale del Nilo in un paesaggio praticamente desertico, a causa della loro posizione e consigliabile visitare i siti archeologici di prima mattina. Nell’avvicinamento ai templi di Tebe ovest non si possono non notare i colossi di Memnone che sorgono isolati nella pianura che si attraversa, ritraevano il re Amenhotep III e dominavano un tempio di cui oggi non rimane nulla (ai lati del re seduto, di proporzioni ben più piccole ci sono due donne, la madre e la sposa). Si arriva poi nella silenziosa valle dei Re nascosta tra le montagne. Qui i sovrani della XVIII XIX e XX dinastia costruirono le proprie tombe rinunciando ad ogni esteriorità monumentale privilegiando la decorazione interna. La scelta delle tombe da vedere non è libera, perché la sovrintendenza egiziana apre a rotazione per ridurre i danni provocati dai visitatori. Vediamo in sequenza le tombe di Ramesse III (n.11), Sethi II (n.15) e Thutmosi III (n.34), questa tomba più di altre fa capire come la scelta di valli impervie e nascosta tra le colline in mezzo ad alte pareti raggiungibili solo percorrendo una ripida scalinata e l’occultamento degli ingressi dei sepolcri con pietre e detriti era evidentemente intesa a prevenire le violazioni, già frequenti allora. Ci spostiamo poi a Deir al-Bahri (che in arabo significa “Monastero del nord” poiché in epoca cristiana vi si stabilì una comunità religiosa e venne costruito un Monastero copto di cui restano pochi ruderi) in quello che viene considerato uno spettacolare anfiteatro di montagne “il tempio della regina Hatshepsut” con relativa visita alle tre terrazze, senza dubbio è uno dei più bei monumenti dell’antico Egitto. Andiamo poi nella valle delle Regine (che a dispetto del nome non accolse soltanto regine ma anche figli/e dei sovrani). La scelta delle tombe da vedere anche in questo sito non è libera, la sovrintendenza egiziana ci vieta di effettuare la visita a quello che viene considerato il fiore all’occhiello delle necropoli tebane “la tomba di Nefertari” vediamo quindi la tomba di Teti (n.52), quella di Kha em Waset (n.44) ed infine la tomba del principe Amonchopeshfu figlio di Ramesse III scoperta dalla missione italiana diretta da Ernesto Schiapparelli nel 1904. Ci spostiamo infine a vedere il sito di Medinet Habu, importante centro economico e religioso, eletto a luogo di residenza da sovrani visir e sacerdoti e fu sede amministrativa durante la XX dinastia. L’area archeologica comprende un tempio dedicato ad Amon, cappelle funerarie, il tempio di Ramesse III (il monumento più importante del sito) e magazzini, il complesso di edifici fu circondato da mura tale da renderlo simile ad una fortezza. Vale la pena fare una tranquilla passeggiata tra le rovine anche perché sarete tra i pochi fortunati turisti a vederlo senza tanta confusione come in altri siti. Avendo tempo a disposizione vale la pena di far visita al museo di Luxor ricco di straordinari reperti dal vasellame ai gioielli, statue e busti di grandi faraoni come Sesostri III, Thutmosi III Amenhotep II e III, reperti murali rappresentanti Akhenaton e Nefertiti in adorazione il disco solare Aton oltre a reperti provenienti dalla tomba di Tutankhamon.

Luxor – Karnak

Passeggiata nel mercato arabo prima di andare a vedere il museo della mummificazione, unico al mondo del suo genere, comprende mummie, attrezzi e materiali utilizzati per il processo di mummificazione. A poco più di 3Km da Luxor si trova il complesso monumentale di Karnak che testimonia oltre 2000 anni di lavori e di ampliamenti (fondato nel Medio Regno e sviluppato fino all’epoca romana con la XXX Dinastia). Con Amenemhat I (sovrano della XII Dinastia 1991-1962 a.C.) si iniziò ad edificare intorno a monumenti preesistenti in onore di Amon, considerato dio vittorioso contro i popoli nemici che col tempo divenne la divinità tebana principale associata a Ra, dio del Sole (a discapito del dio della guerra Montu associato a Tebe durante l’ Antico Regno). All’interno dell’enorme cinta muraria del tempio di Amon si trovano il tempio della sua sposa Mut, il tempio di Montu, il viale costeggiato da quaranta sfingi a testa di ariete, la statua colossale di Ramesse II, gli obelischi di Thutmosi I e Hatshepsut, il chiosco di Taharqa, i tempi dei faraoni Sethi II e Ramses III, il tempio di Path, un museo all’aperto, il tempio del dio lunare Khonsu, un lago sacro, uno scarabeo”, oltre ad innumerevoli colonne (ben 143 papiriformi per la sola grande sala ipostila). La sera si svolge un suggestivo spettacolo chiamato “Suoni e Luci” che narra le vicende dei faraoni legate a questo luogo dedicato al dio Amon.

Tornati a Luxor si va a far visita a quello che viene considerato il padrone di casa “il tempio di Luxor” dedicato al culto del dio Amon e costruito quasi interamente durante la XVIII dinastia da Amenhotep III e Ramses II sulle fondamenta di un santuario precedente. Originariamente collegato a Karnak attraverso una via processionale costeggiata da sfingi. Viale che conduce alle maestose rovine del primo pilone, davanti al quale giacciono tre statue di Ramses II ed uno dei due obelschi in granito rosa (l’altro si trova a Parigi in Place de la Concorde). Tra il primo ed il secondo pilone, si estende il grande cortile parte del quale è occupato dalla moschea di Abu al-Haggag mentre sul lato opposto vi è il tempio della triade tebana Amon, Mut e Khonsu. Proseguendo si incontrano il colonnato di Amenhotep III composto da quattordici fusti papiriformi che porta al cortile di Amenhotep III e a seguire la sala ipostila, le stanze principali del tempio di Amon la cappella delle offerte, la barca funeraria fatta ricostruire da Alessandro Magno per finire con il santuario di Amenhotep III.

Terminata la piacevole visita al tempio ci rechiamo sulla corniche del Nilo per poterlo navigare su una feluca (barca a vela) durante il tramonto. Nell’attesa di veder scomparire il caldo sole nella valle di Tebe ci rechiamo all’isola Banana (dove facciamo un ricco spuntino neanche a dirlo di banane).

Luxor – Edfu – Kom Ombo – Aswan

Partenza con il resto del convoglio verso con destinazione Aswan. Prima di giungere ad Edfu (situata a circa 100Km a Sud di Luxor) ci si ferma ad un check point dove si puòchiedere l’autorizzazione per potersi staccare dal convoglio per andare a Daraw per vedere il più grande e famoso mercato di dromedari provenienti dal Sudan. L’autorizzazione ci viene negata dal comandante di polizia, quindi proseguiamo con il resto del gruppo fino ad Edfu (anticamente chiamata Gebua) dove giungiamo con una marea di altri turisti che ahimè non ci consentono di visitare bene come in altre occasioni la dimora di Horo, il dio simboleggiato dalla testa di falco. Il tempio dedicato alla divinità appare straordinariamente conservato, probabilmente è dovuto al fatto che è rimasto a lungo sotto la sabbia. Il tempio di epoca tolemaica (la costruzione iniziò nel 237 a.C. e terminò nel 57 a.C.) per dimensioni è secondo solo al tempio di Karnak, il più grande dei monumenti dedicati al dio Horo. Si prosegue il viaggio alla volta di Kom Ombo (a circa 65Km a sud di Edfu), dove visitiamo il tempio dedicato a Sobek il dio coccodrillo e Haroeris. Del tempio tolemaico (costruito sui resti di un santuario risalente alla XVIII Dinstia) rimangono soltanto una parte del muro di cinta, alcune colonne, delle cappelle e un mammisi. Le rovine del tempio di Kom Ombo costituiscono uno dei luoghi più pittoreschi dell’Egitto antico, in quanto si trovano su un promontorio sulla riva destra del Nilo. La posizione della città di Kom Ombo per l’esercito egizio risultava strategica per sorvegliare sia i passaggi delle imbarcazioni sia delle carovane da e verso la Nubia. Percorrendo altri 50Km circa in direzione sud arriviamo poi ad Aswan. La città di Aswan(o Assuan) è un ottima base di partenza per le diverse escursioni archeologiche della zona. Assuan l’antica Syene era il capoluogo del primo nomo (divisione amministrativa in province dell’antico Egitto) dell’ Antico Egitto. La sua importanza era dovuta sia alla sua posizione strategica per il controllo del traffico fluviale da e per la Nubia, sia perchè era il punto d’arrivo della via carovaniera dal nord verso l’attuale Sudan. A sud della città di Aswan (5Km circa), sull’isola di Agilika (raggiunta con un’imbarcazione a motore), ammiriamo il complesso monumentale di Philae: il più grande tempio dedicato alla dea Iside (la dea della bontà e della fertilità) edificato nel III secolo a.C.. Questo angolo di paradiso “immerso” nel Nilo a seguito della costruzione della vecchia e della Grande Diga, grazie ad un intervento dell’Unesco tra il 1970-80 venne trasferito pietra su pietra dall’isola di Philae a quella di Agilika e ricostruito fedelmente. E’ quindi ad Agilkia che oggi si visita il santuario di Iside, celebre luogo di pellegrinaggio costruito soprattutto in età tolemaica. Sul lato orientale dall’isola sorgono il Chiosco di Traiano ed il Tempio di Hator, all’estremità settentrionale dell’isola, si trovano un arco romano o porta di Diocleziano ed il Tempio di Augusto. Una volta tornati in città andiamo a far visita al piccolo ma interessantissimo museo Nubiano, dove sono esposti reperti delle varie epoche dalla preistoria, l’era faraonica, greca, romana, copta ed islamica, sono raccolti molti esempi di arte nubiana e sono stati ricostruiti vari momenti di vita nubiana. Trascorreremo il resto della giornata sulla feluca (tradizionale imbarcazione a vela). Come prima cosa facciamo rotta all’Isola di Kitchener con il suo magnifico giardino botanico. Dopo esserci rigenerati al fresco di questo giardino esotico, ci rechiamo sull’altra sponda del Nilo in una zona completamente desertica e visitiamo il Monastero di San Simeone anche se assomiglia molto di più ad una fortezza che ad un santuario religioso. Lungo il percorso abbiamo modo di vedere dall’esterno il mausoleo dell’Aga Khan (è chiuso). Abbandoniamo poi la sponda occidentale del Nilo per recarci a far visita alle rovine della storica isola Elefantina (che nell’antichità era un grande centro commerciale e punto di contatto tra Egitto e Nubia), sulla riva sud-orientale dell’isola vediamo il Nilometro (parzialmente ricostruito in Epoca Romana): una scala che scende verso il fiume tra pareti che recano incisi riferimenti graduati per misurare la piena, il museo di Aswan che raccoglie reperti della zona e della Bassa Nubia, il tempio di Khnum ed altre rovine. Vediamo poi altre piccole isolette dove attendiamo il tramonto.

Aswan – Abu Simbel – Aswan

Alle h 4 del mattino partiamo con il convoglio per Abu Simbel che si trova a 280Km a sud di Aswan e 30Km a Nord-Est dal confine con il Sudan, questa è la soluzione più economica per arrivare ad Abu Simbel (raggiungibile anche in aereo). Durante la marcia di avvicinamento abbiamo la possibilità di vedere una delle più suggestive albe di tutto il soggiorno mentre si attraversa il deserto. Con l’aiuto di una guida ci addentriamo in quello che può essere considerato il più celebre sito nubiano per vedere il grande tempio di Ramses II e quello dedicato a sua moglie Nefertari ed alla dea Hator. Entrambi i templi sono stati costruiti durante il regno di Ramses II (1290-1224 a.C.) e con il passare dei secoli i due monumenti furono seppelliti dalla sabbia e quindi dimenticati. Furono “riscoperti” nel 1813 dall’esploratore svizzero J.L.Burckhardt e solo alcuni anni dopo grazie all’italiano Gianbattista Belzoni furono riportati alla luce. Il Tempio di Ramses II, fu fatto costruire dallo stesso per celebrare la sua potenza ai confini sud del regno, era interamente scolpito in un unico pezzo di roccia. Nella prima sala si può osservare una navata centrale fiancheggiata da pilastri osiriaci sulle pareti laterali scene di guerra (la battaglia di Qadesh) che esaltano le numerose vittorie del faraone, segue una piccola sala ipostila in fondo alla quale sono ricavate tre cappelle, quella centrale naturalmente più grande (naos) custodisce le quattro statue delle grandi divinità dei tre principali centri dell’Egitto Ptah Menfita, Amon-Ra Tebano e Ra-Harakhte Eliopolitano, e lo stesso Ramses II (sempre tagliate nella roccia viva). Rimaniamo sbigottiti per lo splendore del sito ma ancor di più increduli per quello che l’uomo è riuscito a fare per conservarlo e farlo vedere al mondo intero, si perché grazie all’operazione d’ingegneria i templi furono tagliati a blocchi e ricostruiti nella nuova ubicazione sulle sponde artificiali del Lago Nasser, con lo scopo principale di mantenere la stessa posizione affinché le tre divinità (Amon-Ra, Ramesse II, Ra-Harakhti) per due giorni l’anno (il 21 febbraio giorno della sua incoronazione e il 22 Ottobre giorno della nascita di Ramesse II) venissero illuminati dai raggi solari ad esclusione di Ptah; ma a differenza di quello che riuscirono a pianificare gli architetti del sovrano, gli attuali ingegneri hanno posticipato di un giorno l’evento.

Il Tempio Minore dedicato alla dea Hathor (dea della gioia e dell’amore ) ed alla regina Nefertari, fatto costruire sempre da Ramses II. La facciata alterna le 4 statue scolpite del faraone Ramses II con le due della sua sposa Nefertari (raffigurata come la dea Hathor) al loro fianco sono riportate sculture più piccole che rappresentano i figli della coppia regale. Il suo interno è composto da una sala ipostila dove le sei colonne sono coronate da capitelli raffiguranti Hathor, segue un vestibolo che immette al piccolo santuario con Hathor raffigurata nell’atto di uscire dalla parete rocciosa per proteggere il re.

Purtroppo non abbiamo la possibilità di soffermarci con tutta tranquillità, vuoi per l’innumerevole afflusso di turisti vuoi per i tempi dettati dalla polizia. Sicuramente sarebbe stato molto bello potersi soffermare ad osservare il panorama che offre il Lago Nasser se non addirittura poterlo navigare. Alle h 9,30 ripartiamo per poter tornare ad Aswan.

Durante la strada del ritorno lungo il deserto assistiamo ad innumerevoli fenomeni di miraggi. Prima di giungere in città facciamo una breve sosta alla diga di Aswan costruita per difendere l’Egitto dalle inondazioni, per l’irrigazione dei terreni e per la produzione dell’energia, da qui si può ammirare l’immenso bacino d’acqua del Lago Nasser. Andiamo a vedere la cava dove giace l’obelisco incompiuto a causa di una crepa, sarebbe stato l’obelisco più alto (m 42) costruito con un’unica grande pietra.

Aswan – Luxor – Hurghada

Ad Hurghada trascorreremo due giorni di assoluto relax con escursioni in barca nella splendida barriera corallina di Sha’ab al-Erg e l’isola di Giftun per praticare lo snorkeling ed immersioni, abbiamo il piacere di vedere innumerevoli varietà di pesci che frequentano la barriera ed avvistare alcuni delfini e tartarughe marine.

Hurghada – Al-Qulzum – Suez – Il Cairo

Uniti al resto del convoglio alle h 4,00 si parte scortati alla volta di Il Cario. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla polizia ci separiamo dal resto del convoglio per recarci al Monastero di S.Paolo (costruito nel V secolo d.C). Partiamo poi alla volta del Monastero di Sant’Antonio il più antico monastero copto fondato da S.Antonio nel 305 d.C., vicini tra loro in linea d’aria ma distanti circa 80Km divisi dall’altopiano del Gebel Al-Galala Al-Qibliya. Gli Egiziani furono i primi eremiti del Cristianesimo che fondarono in Egitto le prime comunità di monaci. Questi monasteri hanno l’aspetto di vere e proprie fortezze perché, nelle varie epoca i monaci dovevano difendersi dagli attacchi dei beduini prima e dei mussulmani dopo, mentre la chiesa all’interno è tradizionale.

Ripartiamo alla volta di Suez che raggiungiamo quando incombe il buio, purtroppo vediamo tutto illuminato ma non riusciamo ad apprezzare anche perché dopo le h 17, mercantili e petroliere si fermano in radar.

Il Cairo antico e zona a nord del Khan al-Khalili

Il Cairo è la più grande città dell’Africa, capitale e cuore dell’Egitto con i suoi 18 milioni di abitanti circa, è la città dei mille contrasti, dove il mondo antico si mescola con quello contemporaneo. Iniziamo la visita di questa immensa città da ” Il Cairo antico” più precisamente da quello che viene considerato il cuore della comunità cristiana d’Egitto, “Il Cairo copto” si tratta di un intero quartiere racchiuso tra le mura dell’antica fortezza di Babilonia e ciò che rimane di questa sono le due torri erette nel 98 d.C. . Qui sorgono le grandi chiese copte, collegate tra loro da vicoli stretti, andiamo a vedere in successione le chiese di S.Giorgio, S.Sergio (fondata alla fine del IV secolo sorta sul posto dove avrebbe sostato la Sacra Famiglia) e Santa Barbara (eretta tra il IV ed il V secolo e rifatta nell’XI), la sinagoga di Ben Ezra (la più antica sinagoga d’Egitto), Al Muallaqa (chiesa “La Sospesa” costruita nel III secolo sopra l’antica fortezza romana di Babilonia). Lasciata la parte cristiana inizia poi la nostra avventura con le moschee. Partiamo dalla moschea di Amr ibn al-Asluogo presso il quale venne costruita la più antica moschea d’Egitto (642 d.C.), oltre a doverci togliere le scarpe ahimè alle donne fanno indossare una tunica con tanto di cappuccio, (che porteranno con molto disappunto e molto risentimento nei nostri confronti). Abbandoniamo poi la Cairo antica per spostarci nella zona a nord del Khan al-Khalili. Visitiamo la moschea di al-Hakim, attraversiamo la sharia al-Muizz li-Din Allah strada ricca di bancarelle, avventurarsi al suo interno è come fare un tuffo nel passato: il quartiere è un affascinante intrico di vicoli e case costruite con mattoni crudi, la zona è ricca di moschee; “purtroppo” per noi in alcune moschee non possiamo entrare perché sono in ristrutturazione come la moschea di Sulemain e la medrasa-mausoleo di Barquq, arriviamo infine al complesso di al-Ghouri con relativa visita sul minareto. In serata ci rechiamo alla piana di Giza per andare a vedere l’affascinante spettacolo “suoni e luci” (un insieme di suoni e luci che nel crepuscolo della sera, accompagnando una voce narrante, creano suggestivi effetti giocando con i profili delle antiche vestigia) che si riflette sulla Sfinge e le tre piramidi. Penso che valga la pena andarlo a vedere anche in un’altra lingua, tanto è suggestiva l’atmosfera che si viene a creare.

Il Cairo – Alessandria – Il Cairo

Di prima mattina partiamo alla volta di Alessandria d’Egitto (fondata tra il 332 e il 331 a.C. da Alessandro Magno) dove si arriva dopo quattro ore di viaggio (di questa antica città rimangono pochissime tracce) ed andiamo subito a far visita al forte di Qaitbey (dove una volta sorgeva il famoso faro del 283 a.C. in funzione fino al XIV secolo, quando venne raso al suolo da un terremoto) fatto costruire dal sultano mamelucco Qaitbey intorno al 1480 d.C., il museo oceanografico, vediamo poi la moschea di Abu Abbas al-Mursi è particolare per l’altissimo minareto e le sue quattro cupole. Andiamo poi a vedere quella che è l’avveniristica biblioteca di Alessandria (costruita all’inizio del III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II, era conservata la più vasta collezione di libri del mondo antico, parte del patrimonio è andato perduto a causa di un’incendio) ricostruita grazie all’interesse dell’Unesco e della comunità internazionale, sugli stessi luoghi dell’antica è stata inaugurata nell’ottobre del 2002. Il tempo scorre rapidamente ed andiamo di corsa a vedere quello che rimane dell’acropoli e la colonna di Pompeo di granito rosa, innalzata in onore di Diocleziano nel 293 d.C. ed erroneamente fatta risalire a Pompeo. Purtroppo non facciamo in tempo a vedere l’anfiteatro romano (l’unico esistente in Egitto) e le catacombe di Kom-ash-Shuqqafa (II secolo d.C.) che rappresentano il più vasto complesso funerario romano scoperto in Egitto (ma rimaniamo comunque soddisfatti).

Il Cairo (La cittadella e la città dei morti)

Dedichiamo quasi l’intera giornata per la visita alla cittadella. Vediamo la moschea di ar-Rifai (dove sono sepolti lo scià dell’Iran e i membri della famiglia reale), visitiamo poi la moschea-medrasa del sultano Hassan (XIV secolo con la splendida fontana delle abluzioni al centro della sala di preghiera).

Entriamo alla cittadella, fondata da Saladino nel 1176 su un’altura all’estremità orientale de Il Cairo per proteggere la città dai crociati, ampliata e arricchita da mamelucchi, ottomani (1517-1798), francesi (sotto Napoleone nel 1798) e completamente trasformata da Mohammed Ali. Si può ammirare la grandiosa moschea d’alabastro di Mohammed Alì (così chiamata per le lastre di alabastro che la rivestono), la sua costruzione risale al 1824. Facciamo poi visita al museo Gawhara, passiamo poi alla moschea di an-Nasir Mohammed (del 1318 unica struttura mamelucca rimasta), ci affacciamo poi sulla bella terrazza con un bellissimo panorama sulla città (in lontananza in mezzo al cielo inquinato riusciamo ad intravedere la piana di Giza). Andiamo poi a visitare il museo della polizia e quello nazionale militare. Decidiamo di andare nella zona più povera della città e cioè la famosa Città dei Morti, un quartiere che si è trasformato nel corso degli anni da antico cimitero mamelucco in una delle zone più affollate della città, oggi tra le tombe migliaia di persone hanno costruito le proprie baracche. Facciamo quindi una visita alla moschea di Qaitbey (considerato uno dei capolavori dell’architettura araba del Cinquecento). Dopo una passeggiata lungo la corniche andiamo in cima alla torre de Il Cairo per vedere dall’alto dei suoi 185m l’immensità della città.

Il Cairo (Khan al Khalili)

Siamo al nostro ultimo giorno di permanenza in Egitto decidiamo quindi di trascorrerlo all’insegna dello shopping, andiamo a spasso per i souq di Khan al Khalili. La moschea di al-Mu’ayyd purtroppo per noi si trova chiusa per ristrutturazione, passiamo quindi a vedere la porta di Bab Zuweila (unica porta rimastadell’antica città medievale).Ci buttiamo poi nel vivo del trafficato e coloratissimo mercato. Proseguiamo nel caos più assoluto di Khan al Khalili, vediamo dall’esterno la moschea di Sayyidna al-Hussain (è vietato visitare se non si è di fede musulmana perchè è considerato uno dei luoghi più sacri per i musulmani egiziani) e la moschea di Al-Azhar (utilizzata come sede universitaria, fondata nel 970 è considerata la più antica ed importante università islamica del mondo, tuttora attiva). Abbandoniamo poi Midan Hussein per recarci in Midan Ramses dove vediamo la statua di Ramesse II abbandonata in mezzo al traffico caotico de Il Cairo.

Buon viaggio

Rocco


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Calendario delle proiezioni 2014

MESE DATA Dal TIPOLOGIA DESCRIZIONE REF. REF.
GENNAIO 23/01/2014 Proiezione IRAN – splendori in libertà  Liso Arcangelo
 
FEBBRAIO 20/02/2014 Proiezione MELANESIA Carlo Castagna  
MARZO 20/03/2014 Proiezione MONGOLIA Marco Di Perna  
APRILE 10/04/2014 Proiezione titolo e proiezionista da definire    
MAGGIO 22/05/2014 Proiezione LHASA E TIBET  Luigi Rinaldi  
GIUGNO 19/06/2014 Proiezione PROIEZIONE TREKKING  Lorenzo Serafini  
OTTOBRE 23/10/2014 Proiezione titolo e proiezionista da definire  
NOVEMBRE 20/11/2014 Proiezione titolo e proiezionista da definire  
 DICEMBRE 04/12/2014  Proiezione titolo e proiezionista da definire  


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Calendario delle escursioni

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PROGRAMMA GENERALE 2014-2015

ATTENZIONE:  Le date e le mete proposte sono indicative.

IL PROGRAMMA GENERALE  viene pubblicato nel sito all’inizio dell’anno.
Durante l’anno possono avvenire modifiche delle escursioni, la singola gita/escursione è confermata SOLO quando viene inserita,
con relativa locandina, nella home page del nostro sito internet http://www.angolodellavventuraroma.com/regioni/lombardia/lombardia.htm
 
che vi invitiamo sempre a consultare.

 CONSULTATE IL CALENDARIO PER I RIFERIMENTI DELLE ESCURSIONI E NELLA PAGINA DEI COORDINATORI I RIFERIMENTI DEGLI ORGANIZZATORI (Email e Num Tel.) 

 

MESE DATA DATA2 Proiezione DESCRIZIONE ORGANIZZATORE REFERENTE 1
GENNAIO 21/01/2015   Aperitivo Aperitivo    
GENNAIO 29/01/2015   Proiezione Proiezione    
GENNAIO 31/01/2015 01/02/2015 Gita/Escursione Ciaspolata al Rifugio Myriam Guido Toso  
FEBBRAIO 14/02/2015   Evento Mostra Bonatti Natalia Zanelli  
FEBBRAIO 22/02/2015   Evento Mostra McCurry Danilla Castoldi

Paola Bonazzi

MARZO 08/03/2015   Evento La città delle donne Danila Lando

Raffaella Falanga

MARZO 15/03/2015   Gita/Escursione Villa Panza – Varese Tina Auletta  
MAGGIO 01/05/2015 03/05/2015 Gita/Escursione Delta del Po Anna Grande

Lorella Bacchini

MAGGIO 10/05/2015   Gita/Escursione Gita in Montagna Giancarlo Vassena

Guido Toso

MAGGIO 16/05/2015 17/05/2015 Gita/Escursione Osservatorio Astronomico Lignan Simone Pueroni

Maddalena Lenzi

MAGGIO 23/05/2015 24/05/2015 Gita/Escursione Trekking 2 giorni Stefano Berlaschini

Mauro Ravasi

MAGGIO 31/05/2015 02/06/2015 Gita/Escursione Sils Natalia Zanelli  
GIUGNO 19/06/2015 21/06/2015 Gita/Escursione Genova e Dintorni Danila Lando

Raffaella Falanga

LUGLIO 04/07/2015 05/07/2015 Gita/Escursione MITO 3 Guido Toso  
LUGLIO 18/07/2015 19/07/2015 Gita/Escursione Trekking 2 giorni Guido Toso

Silvia Antonini

SETTEMBRE 27/09/2015   Gita/Escursione In Bici – ValChiavenna Barbara Savy

Katia Lepoutre

OTTOBRE 04/10/2015   Gita/Escursione Mini Trek Danilla Castoldi

Stefano Berlaschini

OTTOBRE 11/10/2015   Gita/Escursione Gita in Montagna Giancarlo Vassena
OTTOBRE 24/10/2015   Gita/Escursione Cantine Oltrepo Guido Toso
NOVEMBRE 29/11/2015   Evento Memoriale Shoah Simone Pueroni

 

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