Category Archives: Immagini e racconti di viaggio

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APP-ASSIONATAMENTE di Fabio Z. & Marco A.

Hemingway in un suo celebre romanzo riportava la convinzione che l’Arco della Pace fosse esattamente allineato all’Arc du Triomphe.

 

“Marco, ora che lo sai puoi berti una birra in Sempione e camminare dritto fino a Parigi per vedere se è vero, ma se volessi andarci con mezzi più idonei sai quante sono le alternative con relativi tempi e costi?”Esiste una App e relativo sito che si chiama Rome2Rio, che ti permette di vedere in un attimo tutte le soluzioni per spostarti da un punto all’altro della stessa città o del globo terrestre (se te lo stessi chiedendo da Capo Nord a quello di Buona Speranza ci vogliono almeno 28 ore e 600 euro!).

Tra i pro, ti segnaliamo che non serve scaricare nulla sulla tua device, è sufficiente avere una connessione internet, è molto semplice da usare, e ti fornisce i link diretti alle varie compagnie di trasporto cui fa riferimento per prenotazioni e informazioni.

 

“Fabio, ma se anziché una birra volessi bermi un’Amarula? Mi è capitato di non avere connessione in Africa Australe, eppure….”Ecco un’altra app che abbiamo usato in giro per il mondo, si chiama Here WeGo, dev’esser scaricata e installata sulla propria unità, insieme alle mappe, spesso file di grandi dimensioni, dei paesi da visitare.

Tra i pro, ti segnaliamo che può esser usata offline, puoi impostare la meta per indirizzo o coordinate Gps, selezionare il mezzo di locomozione, auto, mezzi pubblici, taxi, piedi, in alcuni casi anche bicicletta, in funzione del quale il percorso viene calcolato includendo o meno zone pedonali, comprende molti luoghi di interesse, tra cui pernottamenti e ristoranti, facilmente selezionabili per la navigazione verso gli stessi.

 

“Quindi Marco, stasera birra o Amarula?”

“Scegli tu; io guido, tu navighi”

“Ehm… Marco… non c’è campo qui”

“Ops, Fabio… non ho scaricato la mappa dell’area…”

“Hai ancora la bussola del nonno….?”

“Sempre nello zaino, è uno dei miei talismani in viaggio”.

 

Hai anche tu riferimenti e siti che trovi utile per noi App-assionati di viaggi?

Scrivici a Avventuremilano@gmail.com

 

Fabio Z. & Marco A.


GALAPAGOS di Stefano Soldà

Viaggio meraviglioso, spettacolare, unico, di tutti i miei viaggi lo metterei al secondo posto dopo lo Yemen!

Come essere immersi in un documentario di Piero Angela, sto parlando delle Galapagos ovviamente, gli itinerari giornalieri sono decisi in precedenza dall’ente parco e dalla guida della vostra barca, non si possono fare variazioni neanche di un ora, tutto stabilito in modo impeccabile, si vede il più possibile nel modo migliore.

Si rimane immersi negli ambienti degli animali autoctoni delle isole per una settimana, Siamo noi che siamo a casa loro quindi massimo rispetto per tutto, i percorsi sulle isole passano dai nidi degli uccelli, delle iguane, non è possibile uscire dal percorso segnato per evitare di distruggere i nidi.

La guida naturalistica, durante la crociera, vi saprà trasmettere entusiasmo per ogni attività e avvistamento animali spiegandovi la formazione delle isole, la vita degli animali terrestri e marini. La cosa che ci è rimasta più impressa è l’assoluta mancanza di paura nei confronti dell’uomo da parte degli animali; una delle regole alle Galapagos è “non avvicinarsi agli animali ad una distanza inferiore ai due metri”, in alcuni casi è davvero difficile osservare la regola, gli animali ti vengono letteralmente incontro, specie i leoni marini, e la tentazione di stargli vicino o accarezzarli è forte.

Poi snorkelling tutti i giorni prima o dopo l’escursione a piedi nelle isole, quando si risale sulla barca un rinfresco con pizzette e un succo fresco, si viene coccolati dall’equipaggio che si merita una consistente mancia.

Le immersioni in apnea sempre in compagnia di squali pinna bianca o nera, tartarughe, razze, mante, delfini, pesci di tutti i tipi e dimensioni, insomma tutto!

La parte continentale dell’Ecuador molto bella con le architetture tipiche coloniali, Cuenca un gioiello, Quito molto sopravvalutata se posso consigliare meglio una mezza giornata in piu’ a Cuenca e mezza in meno a Quito.

I 2 vulcani il Cotopaxi e il Chimborazo sono delle belle passeggiate di 2/300 metri in salita senza problemi se non per la mancanza di fiato, ce la fanno tutti basta avere voglia di farcela, i 5000 metri si fanno sentire.

Un viaggio meraviglioso vi aspetta !

appassionatamente Stefano


GRAZIE DOUG di Marco Amoroso

Grazie Doug.

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Mi piace quel momento dell’anno in cui davanti alla porta di casa trovo il “librone”, La grande guida dei Viaggi nel Mondo, in parte copia cartacea del sito di Avventure nel Mondo, e il primo numero annuale dei racconti di viaggio.

Non credo di esser un nostalgico della carta, ma il librone mi piace sfogliarlo, leggerlo, è una consultazione diversa, nella ricerca di informazioni spunti e stimoli rispetto a quando navigo sul sito, ha tempi e spazi diversi.
Ieri sera ho aperto il cellophane, una veloce sfogliata, mi viene in mente di un amico coordinatore che quest’estate sarà in Sud America, cerco la sezione dove quell’itinerario è descritto… un flash, il ricordo di un articolo letto qualche mese fa.

Come si chiamava quel “folle”?
No… nessun riferimento patologico, non potrei dirlo; oltre al fatto che lessi un aforisma secondo il quale superati gli otto zeri del conto in banca, in dollari non in rupie, qualsiasi comportamento particolare è da classificarsi come eccentrico.

Ritrovo fortunosamente l’articolo…. Doug!!! ecco il nome dell’eccentrico eco-miliardario americano.

Douglas Tompkins, classe 1943, spirito libero fin dalla giovinezza, si dice avesse abbandonato gli studi a 17 anni, iniziando a lavorare ad Aspen, viaggiando e mettendo da parte i soldi per andare a sciare prima sulle Alpi in Europa e poi sulle Ande in Sudamerica.
A vent’anni, con un prestito bancario, fondò un’azienda di abbigliamento tecnico sportivo, che contribuì alla creazione della sua fortuna patrimoniale.
Venduta già nel 1969, insieme alla prima moglie continuò a fare l’imprenditore nell’abbigliamento, fino alla sua personale svolta alla fine degli anni ’80: vendette le quote anche di questa seconda società di grandissimo successo, si trasferì in Sudamerica con la seconda moglie Kristine e da quel momento si dedicò ad attività a favore dell’ambiente vivendo tra il Cile e l’Argentina.

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Tra queste due nazioni Tompkins comprò quasi 9000 chilometri quadrati di terra, solo per conservarli attraverso i vari enti ambientalistici che aveva fondato, diventando uno dei più grandi proprietari terrieri privati del continente.
Tra le sue proprietà, la più famosa è quella di Pumalín Park, uno dei parchi privati più grandi del mondo, che protegge circa 3mila chilometri quadrati della foresta pluviale che si estende dall’Oceano Pacifico alle Ande.

“Vediamo la perdita di biodiversità come una delle più grandi crisi del nostro tempo” disse, e fece molto per combatterla: l’ultimo atto lo ha portato avanti sua moglie che ha donato al governo cileno una superficie grande come la sola Capo Verde.
Una enorme area destinata a diventare protetta e a far parte di un gigantesco parco nazionale da un totale di 4,5milioni di ettari, grande come tre volte lo Yellowstone e lo Yosemite Park messi insieme, rendendo così, si stima, il 20% di tutto il Cile “zona protetta”.

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L’accordo di donazione, firmato dalla Presidente Bachelet che lo ha definito «Storico atto di conservazione ambientale», prevede la creazione di nuovi parchi nazionali e la fondazione Tompkins sostiene che le aree naturali genereranno un indotto di 270 milioni di dollari annui in ecoturismo dando lavoro a più di 40mila persone. Secondo il National Geographic, gli sforzi dell’imprenditore americano hanno protetto più terra rispetto a quelli di qualsiasi altro privato fino ad oggi.

Tompinks è morto nel 2015 all’età di 72anni, in ospedale per l’ipotermia sofferta a causa del tempo passato in acqua in attesa dei soccorsi, in seguito ad un incidente in kayak nel lago General Carrera in Patagonia, regione a sud del Cile.

Fra le terre acquistate e difese dai Tompkins c’è anche un’ampia parte del territorio della Patagonia che – ha dichiarato la vedova di Douglas – sarà ceduto al governo argentino alla stessa condizione, ovvero che sia trasformata in un’area protetta.

“never stop exploring”, uno dei suoi motti più ricorrenti, e slogan della prima grande azienda da lui fondata.

Grazie Doug.

http://www.tompkinsconservation.org/

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FEBBRE DA TREKKING di Carlo Castagna

Durante il parto, il dolore è così forte che una donna può arrivare ad immaginare come si possa sentire un uomo con la febbre a 37.5

 

“Monsieur,….. monsieur Carlo! Venez, Il est prêt à manger!”

Sono a letto con 39 di febbre e una fastidiosissima tosse. Mi trovo a Dalaba, in Guinea Conakry.

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Sono rimasto solo. Il gruppo è partito per l’escursione al Fouta Djalon.

Con loro ci sono le guide ed è tutto sotto controllo, senza problemi.

Purtroppo la malattia mi ha colpito proprio il giorno della partenza ed ora, dopo due giorni di viaggio, si sta aggravando. Anche con i migliori propositi non sarei in grado di seguire gli altri; mi sentirei di peso con, oltretutto, il rischio di diventare un untore e pregiudicare le vacanze di qualcun altro dei miei compagni.

Anche una logica ragione di buonsenso induce a fermarmi per qualche giorno. Il contesto non è ostile. Ho una camera con un lettino confortevole, c’è l’acqua e la luce anche se solo di sera. Siamo a 1.500mslm ed il clima è piacevolissimo; non ci sono insetti e i padroni di casa sono veramente ospitali. AbdulKarim ha anche fatto lo chef per la mensa di una grande fabbrica in Senegal. Lui, sua moglie e sua figlia si prenderanno cura di me.

La febbre è sempre alta e non ho molta fame; tantomeno ho voglia di alzarmi dal letto ma, facendomi una grande violenza, mi alzo soprattutto per gratificare l’ospitalità dei miei anfitrioni. Ho appena preso un pastiglione di amoxicillina e sarebbe consigliabile mettere qualcos’altro nello stomaco.

Mi hanno atteso per cenare insieme ed il piatto è coperto come in un ristorante stellato. Chiedo scusa per il ritardo e mi accomodo vicino a Rama, la figlia di AbdulKarim. Si solleva il coperchio ed una nuvola di vapore si alza dal grande piatto di portata scoprendo un enorme naso di maiale arrosto appoggiato su di una specie di purè di tapioca. Il mio stupore è evidente tanto che tutti se ne accorgono. Rama mi spiega che loro sono musulmani ma….non proprio rigorosamente osservanti tanto che compaiono anche un paio di bottiglie di birra.

La solita spettacolare flessibilità africana.

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Mi servo un paio di cucchiai di tapioca e un piccolo pezzo di narice facendo attenzione nel selezionare la parte più depilata dalle setole residue.

Da padano, il musetto del maiale, è un articolo che mi è piuttosto familiare ma non ho molto appetito e non rendo grande onore al cuoco.

La tosse non dà tregua per tutta la notte e anche la febbre è costantemente alta. Rama dice che sarebbe prudente consultare un loro cugino che lavora al dispensario di Dalaba. AbdulKarim, preoccupato del mio scarso appetito, chiede cosa può preparare per pranzo. Gli chiedo, se possibile, di avere del riso con del pollo grigliato oppure lessato.

A metà mattina, vengo svegliato dal bussare alla porta. Si presentano in due apparentemente vestiti da muratore. Suppongo che debbano chiudere il grosso foro rimasto a testimoniare la passata presenza di un lavandino.

Si presentano come i parenti che lavorano al dispensario e si offrono di visitarmi. Innanzitutto sarebbe saggio escludere la possibilità di avere la malaria. Fortunatamente hanno il test istantaneo. Una punturina sul polpastrello, una goccia di sangue capillare e, in quindici minuti, il reagente ci fornisce l’esito che è negativo.

Misuriamo la temperatura e constatiamo che è ancora alta e mi confermano che ho la febbre. Mi sentono il torace con l’aiuto dello stetoscopio e stabiliscono che ho la tosse. Consigliano di prendere delle medicine. Gli mostro la scatola con la piccola farmacia da viaggio e, sorridendo, confessano che è più fornita della farmacia del loro dispensario. Il blister di Augmentin è in bella vista; dico che ho già cominciato la terapia raccogliendo la loro approvazione. Si congedano con cortesia invitandomi ad andare al dispensario in caso di peggioramento. Sono più sereno.

“Monsieur….monsieur Carlo! Venezia, il est prêt à manger” l’inconfondibile vocina di Rama squilla avvisando che è ora di pranzo.

L’aspettativa di un pollo alla griglia non mi entusiasma ma qualcosa bisogna pure mettere nello stomaco. Come la sera precedente, trovo AbdulKarim ad attendermi con i piatti di portata rigorosamente coperti. Mi accomodo e lo tranquillizzo riguardo le mie condizioni che sembrano migliorare. Scoperchia i piattoni con grande soddisfazione commentando il menù che, tutto sembra, tranne che pollo. “Calmar farci avec la Papaya!”, calamari ripieni di papaya.

Forse avevo scordato di dire che non mangio pesce, mi fa schifissimo! ma, onestamente, non mi ero posto il problema data la location montana e la lontananza dal mare. Comincio a benedire l’inventore delle barrette Enerzona di cui ho un discreto assortimento.

Nel frattempo, il gruppo manda notizie tramite l’efficientissima rete telefonica. Il trek nell’altopiano del Fouta Djalon è bellissimo e supera le aspettative. I villaggi di Ainguel e Douky sono situati in contesti geografici spettacolari. Il fiume Fetorè ha scavato il suo alveo attraverso un territorio unico formando piscine, cascate, fontane naturali che sorprendono i (pochi) viaggiatori che si avventurano da quelle parti. Anche gli abitanti dei villaggi, seppur toccati pesantemente dalla modernità, sono riusciti a mantenere una grande genuinità e, soprattutto, la loro dignità culturale.

Il 27 dicembre è una giornata speciale per il gruppo. Si festeggiano ben due compleanni, uno dei quali a ‘cifra tonda’. I festeggiamenti sono assolutamente imprescindibili! Anche se da lontano, riesco a contattare al telefono la bravissima guida Bouba e chiedergli di fare preparare una torta di compleanno.

“Pas de problème, monsieur!”.

La festa a sorpresa è riuscita bene. La torta è stata gradita e si è ballato e cantato fino a notte. Poi….tutti in tenda oppure ospiti presso le famiglie del villaggio.

Rasserenato dalle belle notizie provenienti dal gruppo mi appresto a condividere la cena. Ormai sono di casa e non mi faccio chiamare, sono puntuale anche perché comincio ad accusare i sintomi della fame ‘vera’. Arrivo a tavola senza che i piatti siano coperti. Vedo delle invitanti brochettes con il riso. “Ce sont des  brochettes de mouton rôti”. L’aspetto è molto invitante e mi servo golosamente. Sfilo un cubetto di carne che rimbalza sul piatto rischiando di rotolare per la tavola. Lo infilzo con la forchetta che, essendo di metallo molto sottile, si piega leggermente. Quando provo a tagliarla, il coltello poco affilato, riesce con fatica a svolgere il suo compito. Finalmente addento la carne e mi accorgo che i segnali che avevo notato in precedenza senza considerarli erano sintomatici di una consistenza dello spezzatino comparabile solo a quella di uno pneumatico da TIR. Tento inutilmente di masticare ma non riuscendo ad avere soddisfazione finisco con il succhiare la bistecca mescolando il tutto con un po’ di riso.

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I medicinali cominciano a fare effetto; mi sento meglio e decido di partire per Labe dove arriveranno i miei compagni di viaggio. Preparo il bagaglio e mi apposto lungo il bordo della strada in attesa di un taxibrousse il quale non tarda ad arrivare. Abdulkarim mi aiuta spiegando all’autista l’indirizzo della mia destinazione. Una volta arrivati a Pita dovrò cambiare mezzo e, in tre o quattro ore dovrei arrivare a Labe. L’automobile è una Peugeot 504, non ne vedevo una dal 1986. In Guinea tutti i taxi sono Peugeot 504 station wagon o ciò che ne rimane. All’interno saremmo in nove. Io sono alto due metri e peso 110kg, non bisogna certo essere un esperto di logistica per stabilire che nei sedili posteriori non ci sto e che posso occupare solo il sedile anteriore. Oltretutto, da solo perché nella configurazione standard dovrebbe essere un posto condiviso. L’autista fa scendere tutti e riposiziona rapidamente i passeggeri liberando miracolosamente il sedile anteriore ma dovrò pagare per due posti. Accetto con un minimo (minimo) senso di colpa. Il portapacchi è stracolmo di cose tenute insieme da una rete. Anche la mia borsa trova posto sotto la rete e finalmente partiamo. Lungo il percorso facciamo molte fermate per ritirare qualsiasi tipo di prodotto; sacchi di carbone, un vestito, bidoni vuoti, una bici, lettere e anche due mazzette di denaro contante. Evidentemente i taxisti sono molto affidabili e svolgono anche un ruolo di logistica sociale. Scendo al terminal dei taxi di Pita e devo cercare un altro passaggio per Labe. Ovviamente sono l’unico bianco ma non mi sento a disagio. Sono solo molto debole a causa della febbre e degli antibiotici assunti. Un ragazzino che urla “LABE, LABE” mi fa capire che c’è un taxi in partenza. Mi afferra la valigia e la lega al portapacchi. Stavolta sulla vettura siamo solo in quattro e posso sedermi sul sedile anteriore senza pagare il supplemento. Lungo la via carichiamo altre cose ed un paio di passeggeri e dopo un paio d’ore arriviamo al terminal dei taxi di Labe. Anche qui sono l’unico bianco. I ragazzi dei mototaxi mi chiedono dove sono diretto; uno di loro conosce il Tata Hotel che è nella prima periferia della città. Provo a chiamare il gruppo che, nel frattempo, dovrebbe aver raggiunto Leyfita ed avere visitato il Canyon di Indiana Jones. Riesco a mettermi in contatto e i racconti sono entusiastici. Passaggi strettissimi fra le rocce con una vegetazione particolare ed una straordinaria ospitalità da parte degli abitanti dei villaggi. Domani finalmente ci rivedremo. La proprietaria dell’hotel è una signora che ha lavorato come cuoca a Sassuolo e con il denaro guadagnato in Italia ha aperto questa struttura. Si chiama Tata e, ovviamente, parla un ottimo italiano che utilizza per raccontare come funziona la vita a Labe.

Andiamo insieme al Grand Marché de Labe, il mercato centrale, molto animato e ricco di bancarelle. Labe è la seconda città più popolosa della Guinea. Qui si incontrano tutte le etnie della regione per approvvigionarsi del necessario per sopravvivere nei villaggi di provenienza. Sono in maggioranza Peul o Fula; molti Mandinko e Susu. Guardandoli con attenzione e con l’aiuto di Tata riesco a distinguerne le caratteristiche fisiche. Le donne sono particolarmente belle e l’impressione è che….sappiano di esserlo.

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Osservare un mercato è sempre istruttivo. Si imparano le tradizioni e i costumi, si conosce la gente, si apprendono le usanze locali.

Mi siedo su una panca all’esterno dell’hotel Americain, prendo un thè e guardo il mondo girarmi intorno. I motorini sono tutti cinesi. Sono molto diffusi e in maggioranza nuovi. Vengono utilizzati come taxi fino a quattro persone. Le cose più curiose sono i taxibrousse. Più che automobili sono miracoli della manualità e della fantasia umana. Il logo le definisce come Peugeot 504 ma in realtà sono degli ibridi riassemblati innumerevoli volte; risultato di magie ingegneristiche che sfidano (e vincono) le leggi della meccanica. Sono l’emblema dell’Africa. Di come le necessità insegnino a non mollare mai; che l’indispensabile è quello che basta per arrivare a domani. Dopodomani è una previsione troppo a lungo termine. Si compra la benzina in bottiglia. Un litro alla volta; poi vedremo.

Sono un “frequentatore” dell’Africa dai primi anni 90. Ne ho viste di tutti i colori e ho difficoltà a stupirmi per qualcosa ma guardando un taxibrousse mi rendo conto dell’imprescindibilità del destino e, soprattutto, di quanto viziati siamo.

Il vociare inconfondibile di un gruppo di italiani mi sveglia dal pisolino che sto facendo disteso su di un amaca in giardino. Sono arrivati!!

Volti arrossati dal sole e striati dai rivoli di sudore fra l’impanatura di polvere rossa. Zaini sporchi, scarpe impolverate ma, soprattutto, enormi sorrisi. Abbracci e tanta voglia di raccontare per consentirmi di condividere le esperienze che purtroppo non ho potuto vivere con loro. I sorrisi si affievoliscono nel momento in cui comunico che non c’è il wifi!! Ma la delusione dura poco. Le bellissime emozioni vissute non si possono trasmettere attraverso Facebook ed i ricordi di quei momenti saranno proprietà solo di chi li ha vissuti nella realtà …..non virtuale.

“Monsieur,….. monsieur Carlo!…”


IL TIBET NEL CUORE di Delia Bocceda

“IL TIBET NEL CUORE”
di Delia Bocceda

Che cos’è, veramente, il Tibet?
Il mito occidentale ce lo descrive come un paradiso perduto, un luogo popolato da saggi monaci non violenti, vittime inermi di un genocidio da parte dei cinesi che sembrano incarnare tutto il male possibile. Secondo una visione opposta, fino agli anni ’50 era invece una specie di “stato canaglia”, una teocrazia fanatica e integralista governata da leggi barbare e sorretta da un rigido sistema feudale di servitù della gleba. Ma i due punti di vista sono ugualmente fuorvianti, perché non spiegano la complessità delle vicende storiche che hanno determinato l’esilio del Dalai Lama e la nascita della “questione tibetana”.
Cos’è allora, il Tibet?
Chi effettua un viaggio oggi può osservare che il Paese sta radicalmente cambiando, il governo cinese ha investito miliardi di dollari per la realizzazione di scuole, ospedali, abitazioni e infrastrutture (strade, aeroporti, ferrovie, nonché hotel turistici). Ma di fatto buona parte dell’economia è in mano alla popolazione cinese, e molti tibetani sembra vivano in condizione di emarginati nella propria terra, conservando tuttavia una dimensione spirituale difficilmente riscontrabile altrove…
Tutto questo è “il Tibet nel cuore”, parafrasando il bel libro di Piero Verni a cui rimandiamo per una lettura più approfondita sul Paese.

 
 
 
 
 
 
 
 

Lungo la Via della Seta: Uzbekistan e Turkmenistan di Delia Bocceda

Lungo la Via della Seta: Uzbekistan e Turkmenistan

L’Asia Centrale è stata per lungo tempo uno spazio vuoto sulla carta geografica e ancora oggi per molti rappresenta un luogo sconosciuto, una regione sperduta situata chissà dove. Eppure queste terre, che nei secoli hanno avuto nomi come Transoxiana, Turkestan o Tartaria, sono state per due millenni un’importantissima zona di passaggio per mercanti in transito lungo la Via della Seta, per tribù di nomadi e conquistatori, collegando l’Europa e l’Asia e favorendo il trasferimento di idee, tecnologie e convinzioni religiose.
Se si dovesse fare una classifica delle città più interessanti dell’Asia Centrale, il podio spetterebbe a tre città dell’Uzbekistan: Samarcanda, Bukhara e Khiva. Nomi mitici che nell’immaginario collettivo richiamano alla mente carovane che si snodano nel deserto ed edifici che sembrano essere un tutt’uno con la sabbia che li circonda. Un grande patrimonio architettonico ed artistico, in cui tutte le opere sono permeate dalla storia crudele ed affascinante di questo paese, che si snoda dalla Makaranda di Alessandro Magno alla Samarcanda di Tamerlano, ai grandi khanati di Bukhara e Khiva.
Il Turkmenistan non presenta particolari siti di interesse archeologico o semplicemente artistico, ma è interessante da un punto di vista “antropologico”, in quanto il culto della personalità del Presidente assoluto (Turkmenbashi = padre dei Turkmeni), fondatore della Repubblica presidenziale dopo lo smembramento dell’Unione Sovietica, e dell’attuale suo successore, permea qualsiasi attività e vita sociale.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

GRENADINE – Brillanti professionisti che decidono di improvvisarsi marinai

Resoconto di un gruppo di brillanti professionisti che decidono di improvvisarsi marinai imbarcandosi per due settimane su di un mezzo di trasporto a loro finora sconosciuto: un catamarano a vela

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Il mondo, si sa, sta diventando sempre più piccino. Mezzi di trasporto fantascientifici lo renderanno presto ulteriormente semplice e veloce da visitare. Località esotiche che solo fino a pochi anni orsono sembravano lontanissime, grazie alla capillare rete di neonate aerolinee, sono alla portata di poche ore di volo.

Purtroppo solo l’idiozia di alcuni riesce a complicare la vita a milioni di persone e, fra questi, per ultimi, anche a noi viaggiatori.

Per mia fortuna in questi anni ho avuto la possibilità di visitare molti paesi che ora sono impraticabili.  Alcuni di questi mi sono entrati nel cuore anche se non particolarmente ricchi di bellezze naturali o di cultura. Solo per empatia col luogo e con le sue genti.

Stavolta, però, avevo pensato di passare le vacanze natalizie in una località bella, anzi, BELLISSIMA! Un posto universalmente ed incondizionatamente riconosciuto stupendo da tutti. I Caraibi! Le Antille!

In effetti, pur avendo già visitato una buona parte delle piccole nazioni che formano il grande arcipelago caraibico, stavolta mi incuriosiva la parte sud, le Grenadine.

A coinvolgermi ancora di più è stata la possibilità di visitarle con un mezzo di trasporto a me finora sconosciuto: la barca a vela.

Non ne so assolutamente nulla! Quando sento parlare di orzate, cazzate, randa e poppe penso proprio a tutt’altre cose. Inoltre soffro terribilmente di cinetosi tanto che ho serissime difficoltà a salire su un pedalò senza che mi colga immediatamente la nausea! Tutti gli ‘esperti’ ai quali confido il progetto mi sconsigliano vivamente perché la lenta andatura a vela accentua il mal di mare. Soprattutto in quel mare dove, in situazioni di calma, ci sono onde alte due metri ed il vento a 60km/h. Tutto è ostile.

Quindi? Sfida accettata! Proviamoci!

Il mare ed il sole invernali sono una calamita per i fanatici dell’abbronzatura, inoltre il programma è bellissimo ed accattivante quindi gruppo si forma rapidamente. Molti cari amici e qualcuno che non lo era ma lo diventerà.

Mentre si avvicina la data di partenza cominciamo a conoscerci fra di noi e ad approfondire i rudimenti di navigazione da amici o cugini che ‘ne sanno’ e che dispensano consigli a piene mani. Dai rimedi dei nonni usati per non vomitare, del tipo di rosicchiare zenzero (bleah!) oppure bere l’acqua di cottura del riso fino ai cerottini di scopolamina (che in Italia sono stati ritirati dal mercato ma in Francia no e costano 45€ x 5pezzi) oppure al Dramenex (ottimo) che però si trova solo in Egitto.

Il consiglio del quale cercherò di fare prezioso tesoro è quello di utilizzare, al posto di una barca a vela monocarena, un più stabile catamarano.

Aggiudicato! Avventure pensa alla prenotazione dell’imbarcazione, si chiama Victoria, tutto un programma!

Arriva il giorno della partenza. Piano dei voli spettacolare: a Milano la mattina alle 9 e, complice il fuso orario, bagno in piscina alle 17 a Fort de France in Martinica.

Dedichiamo il giorno successivo a visitare una, parte dell’isola e l’indomani ci rechiamo al porto a visionare la ‘nostra’ imbarcazione, quella che sarà la nostra casa per i prossimi 12 giorni.
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La vediamo, è bellissima! Cioè…é uguale a decine di altre, anzi…non é nulla di che ma mio cugino esperto dice che le barche hanno un’anima e io, che ho battezzato e amato tutte le moto che ho avuto, voglio credergli e, sì, alla Victoria voglio già bene.

Sbrighiamo velocemente le formalità relative al noleggio. Cioè, i responsabili avrebbero anche approfondito tutti gli aspetti tecnici del battello ma vedendo che il noleggiatore (noi) non sapeva quasi distinguere il davanti con il dietro, si sono limitati ad una veloce infarinatura sul funzionamento delle dotazioni di bordo. Tanto sarà lo skipper a fare da tutor. Controlliamo che ci sia il pieno di gasolio e quello di acqua dolce, che la bombola del gas sia piena per cucinare, che funzioni il frigorifero e che ci sia il bbq. Per noi può bastare, tanto la moka ed il parmigiano li abbiamo portati da casa e per il resto, come al solito, siamo pronti a tutto.

Andiamo al vicino Carrefour per riempire la cambusa.

Mega spesa da quasi 800€ dei quali oltre 200€ destinati ad acqua (2lt/pax/gg) e ad altri liquidi bevibili: succhi, latte, coca-cola, birre e rum. Si trova quasi tutto quello che c’è nei nostri supermercati, del resto siamo in Francia. I costi, però, sono del 30% superiori ai nostri. Prezzi incredibilmente alti soprattutto per quanto riguarda i prodotti locali come le ananas o le angurie che costano 2,50€/kg!!!

Carichiamo tutte le provviste in barca scoprendo impensabili luoghi occulti dove immagazzinare materiale. In effetti ogni cosa ha un posto dedicato e tutto ci sta alla perfezione. Anche i nostri inutilmente corposi bagagli trovano sistemazione. Sulla Victoria si sta proprio bene.

Per continuare con un relativo benessere e non creare problemi, prevengo il mal di movimento incollandomi ben due cerotti di scopolamina dietro le orecchie. Voglio stare tranquillo. Ho anche già preparato il Dramenex (Diobenedicachil’hainventato e la Laurina che ce l’ha procurato) da assumere prima della partenza.
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Stiamo prendendo confidenza con gli spazi quando uno degli addetti alla pulizia ci avvisa che è arrivato LO SKIPPER!

Le aspettative, soprattutto quelle delle partecipanti, sono altissime. 37anni, creolo, alto 1,90, con trascorsi da pirata delle Antille ma laureato con lode alla Sorbona in ingegneria aeronavale, attualmente giramondo per passione in attesa di partecipare di diritto all’Iron Man delle Hawaii.

La realtà, come spesso capita, è piuttosto diversa dalle aspettative. Infatti, ci si presenta un omino di 62 anni portati incredibilmente male. Molto irsuto, scalzo, una polo scolorita che non vede la lavatrice da anni e un paio di pinocchietti mantenuti insieme solo dalla coesione molecolare. Il cappellino da baseball con cristalizzazioni di sudore e sale marino è sponsorizzato da una marca di rum giamaicano; pessimo indizio. Si chiama Henry ed è originario di Biarritz, ha passato la vita in mare e sembra saperla davvero lunga. Le cicatrici sulle gambe tradiscono il suo passato da rugbysta. È l’uomo giusto. Gli comunico virtualmente la stima che ho nei suoi confronti. Capisce subito con chi ha a che fare e prende in mano la situazione spiegandoci cosa, come, dove e perché andremo a visitare. Anche le ragazze, dopo un primo accenno di latente delusione, capiscono che, forse, va bene così.

Prima notte di collaudo attraccati al porto di LeMarin in Martinica.

La mattina, con ancora il fuso orario italiano, ci svegliamo prestissimo e vediamo il nostro Capitano già all’opera con i preparativi per la partenza. Ci stacchiamo dalla banchina e, non appena usciti dal porto, vuole alzare immediatamente le vele.

Con Roberto ci mettiamo a disposizione. Solo guardandoci capisce che è meglio che faccia da solo e ci chiede esclusivamente compiti di fatica che la sua artrite non gli consente di effettuare. In effetti, oltre alla ruota del timone, non ci si capisce nulla. Un ammasso di corde di diversi colori indirizzate da ogni parte della barca ma tutte a convergere verso il timoniere. Come ci si muove si sbatte contro qualcosa. Comunque, in qualche modo, riusciamo ad alzare la vela e poi pure la seconda che scopriamo chiamarsi Genoa.

Henry apprezza la nostra buona volontà nel tentativo di collaborare e ci promuove al grado di mozzi di primo livello. D’ora in poi i nostri compiti saranno quelli di alzare/abbassare l’ancora, girare la durissima manovella della vela e di legare la corda alla boa per l’ormeggio …ma senza fare i nodi! Quelli li farà lui.

Henry si offre anche come cuoco ma, in questo campo…beh…ça va sans dire, comandano gli italiani! Gli consentiamo solo di cucinare, fra una carbonara e una cacioepepe, il lambis, la specialità locale. In italiano è lo strombo, quel conchiglione usato anche per suonare e che gli anglofoni chiamano conch..

Inoltre si offre di prepararci il punch quotidiano con succhi di frutta e rum …in pari percentuali! Il cappellino non era traditore…

I primi due giorni sono quasi di trasferimento. Sostiamo per il bagno all’Anse des Cochons a St.Lucia e poi al porto di Bequia a St.Vincent.

Scendiamo a terra per le formalità doganali e notiamo come, al contrario della Martinica, questi villaggi, anche se turisticizzatissimi, hanno mantenuto molto delle loro tradizioni creole. I prezzi, però, sono quelli da quadrilatero della moda!!! Compriamo al supermercato uno scolapasta cinese e due litri d’olio di semi per 30€!! Altra sosta all’esclusiva e bellissima Moustique per un aperitivo al Basil Bar. C’è anche chi dice, millantando, di avere incontrato l’attore Pierce Brosnan che, in effetti, ha casa da queste parti. Alcuni di noi, in compassionevole astinenza da wifi, vanno alla disperata ricerca di una connessione per accedere ad uno qualsiasi dei social disponibili.

Terminate le chat ripartiamo in direzione delle Tobago Cays, alle Grenadine. Questo piccolo arcipelago è diviso fra due nazioni. Fino ad Union Island compresa appartengono a St.Vincent; oltre sono di competenza di Grenada.

Ormai Roberto ed io cominciamo a prendere dimestichezza con cordame e boe e possiamo tranquillamente ambire ad un grado superiore. Ora possiamo anche aiutarlo a mettere in mare il gommoncino che si usa per scendere a terra.

Nel gruppo si stanno consolidando le varie competenze. Innanzitutto posso affermare che i cerottini fanno il loro dovere e mi spiace che in Italia non siano più distribuiti. Per il resto tutti hanno trovato il loro compito sulla barca: chi cucina, chi risistema la cucina, chi sbuccia, chi griglia….tutti operativi e disponibili. Andiamo d’accordo.

Seguendo i consigli del Capitano, arriviamo a Mayreau la mattina abbastanza presto in modo da trovare una boa libera per l’attracco. È una meraviglia! Tutte le sfumature del blu e del verde. Un filo d’aria rinfresca e qualche nuvola passeggera ombreggia saltuariamente portando sollievo dal bruciore del sole. Ogni tanto passa qualche barca di pescatori a vendere le loro prede e scopriamo che costano più che in Italia!! Per un pescione (tonno, dorado, bonito) vogliono anche 100€ assolutamente non trattabili!! Li acquistiamo comunque e sarà sempre denaro ben investito.

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È l’ultimo dell’anno e, anche a terra si stanno organizzando per l’evento. Prenotiamo il cenone con una pioggia di aragoste delle dimensioni pari al polpaccio di Tyson. Ben presto la decisione di arrivare prematuramente all’ormeggio si rivela azzeccatissima! In un paio d’ore arrivano un numero spropositato di imbarcazioni grandi e piccole tanto che le boe non sono sufficienti e molti devono ormeggiarsi all’ancora. Dalla confusione che si crea in poco tempo abbiamo tutti un latente sospetto. Quando tre catamarani agganciati fra loro si ormeggiano all’ancora a due metri da noi rischiando la collisione capiamo subito che il sospetto è confermato. Sono tutti italiani. Tutti!

In un paio d’ore, quello che era un paradiso tropicale si trasforma nella bolgia di Fregene! Racchettoni, palloni, bambini urlanti, ombrelloni piantati in spiaggia, rifiuti…

No comment!

Prima di cena vediamo che, a causa della forte corrente, i tre catamarani attaccati insieme ci stanno venendo addosso; uno di questi sembra anche essersi incagliato a causa della bassa marea. I tre ‘skipper’, dall’inconfondibile accento lombardo e romanesco che, per l’internazionalitá della situazione avevano anglo/francesizzato, cercano di spiegarsi e di convincere Henry di ancorare la nostra barca che, a loro dire, lì stava investendo. Il nostro Capitano, giustamente, si altera affermando le nostre ragioni e quindi parte la litigata che cerchiamo di arginare, a dire il vero, con poco successo.

Il mattino seguente il caos, se possibile, aumenta. Ormeggiamo con acquisita maestria ad una boa ammirando il FAVOLOSO panorama dei Tobago Cays quando un altro maldestro skipper de noartri, facendo una manovra a dir poco azzardata, ci travolge col suo catamarano da 50piedi causando la rottura di una delle nostre due punte e lesionando anche la sua imbarcazione. Solita trafila assicurativa… testimoni…constatazione…telefonata ai reciproci armatori… Insomma, saremo anche un popolo di santi e navigatori ma in questa circostanza non ne usciamo proprio benissimo. Forse anche i santi e i navigatori quando sono in ferie ai Caraibi si trasformano in tanti Christian De Sica protagonista di un cinepanettone.

Nonostante questi inconvenienti e appurato che la Victoria può navigare anche con la totale rottura della prua destra, ci riempiamo gli occhi con gli straordinari colori dei Tobago Cays.

È il punto più a sud che possiamo raggiungere e da qui ha inizio la rotta per il ritorno. Ormai, dopo una settimana di barca, io e Roberto siamo stati promossi al grado di ‘mozzo capo’ e spesso possiamo anche fare i nodi alle corde anche se Henry passa (per fortuna) a controllarli. Per il ritorno percorriamo una rotta diversa facendo sosta per il pernottamento al villaggio di Cumberland. L’altra faccia dei caraibi. Niente turisti, poca spiaggia, approdo complicato ma villaggio vero, con la foresta pluviale che scende dalle ripidissime scogliere fino al mare. È tutto verde scuro, mare compreso; però limpidissimo, l’acqua è trasparente. Scendiamo a terra e una signora ci propone di cucinarci il petit cochon alla brace. Accettiamo volentieri tanto per cambiare la routine della cena in barca. Facciamo una breve escursione all’interno. Dopo aver guadato un torrente di acqua freschissima scopriamo un carinissimo villaggio molto animato. Facciamo qualche compera presso i negozietti ed assaporiamo la pacifica atmosfera di quell’angolo di eden. Tornati in spiaggia troviamo la signora in attesa di portarci a cena. La sorpresa è che ha grigliato non un porcellino ma un maiale intero! Nonostante l’impegno non riusciamo a finire quell’impressionante quantità di carne quindi ce la portiamo via per i giorni a venire.

Ripartiamo la mattina consapevoli di dover attraversare un insidioso canale fra Bequia e Moustique. Sarà impegnativo ma, prendendo il vento giusto, ci consentirà di abbreviare il tragitto. Vediamo in lontananza lo stretto passaggio fra le isole. Per non saper néleggerenéscrivere prendo il Dramenex. Anche altri ne approfittano; sembro un sacerdote che distribuisce le ostie. Il Capitano avvisa di fare attenzione a muoversi all’interno della barca perché fra poco si inizieranno le danze. L’avvertimento è decisamente inutile, ce ne accorgiamo da soli. Le onde si alzano e la corrente è molto forte. Siamo dalla parte sopravento, verso l’atlantico, le onde dell’oceano ci colpiscono con tutta la loro impetuositá. Dall’autorità conferita dal mio grado di ‘mozzo capo’ consiglio ad Henry di accendere i motori per mantenere la barca più stabile. La sua risposta arriva senza parole, con un’occhiataccia che da sola spiega tutto: ‘Non rompere, pirla! Lascia fare a me che so quello che faccio’. Le onde si alzano ulteriormente e spazzano tutte le parti esterne, e non solo, della Victoria. Henry non fa una piega al suo posto di comando. Ancorato al suo timone come un folle auriga, cavalca quelle onde di tre metri senza paura mentre tutti siamo aggrappati ad appigli di fortuna. Dura circa un’ora ma, una volta oltrepassato il canale, le onde si placano raggiungendo le dimensioni a cui siamo abituati. Ritorna la tranquillità e il Capitano ci racconta delle sue trenta traversate oceaniche, di onde alte 12metri e di altre avventure capitategli in mare. Stavolta non si è nemmeno divertito.

La crociera è terminata. Siamo di nuovo ormeggiati allo stesso posto al molo di LeMarin. Io e Roberto, che ormai ci destreggiamo con maestria fra il cordame, attracchiamo per l’ultima volta e quindi .rimettiamo i piedi sulla terraferma. Le formalità di restituzione della barca sono rapide. Un minibus ci aspetta appena sotto l’imbarcadero. La Victoria avrà bisogno di qualche cura in cantiere ma per noi l’unica cura possibile sarà tornare al più presto in quei magnifici posti.

Grazie ad Henry e a tutti i compagni di viaggio con cui ho condiviso emozioni indimenticabili.

A Henry, Sara, Anna, Catia, Nicoletta, Patrizia, Sonia, Roberto e Gaspare.

 


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Laos – Cambogia

“LAOS CAMBOGIA” (Dicembre 2015) di Lorella Bacchini

Un viaggio affascinante e vario : natura, etnie, citta’, religione, archeologia, storia.. Due paesi attraversati con i mezzi piu’ svariati, in perfetto stile Avventure nel Mondo: bus pubblici, bus privati, barche, trekking, tuk tuk, aerei

Il LAOS – A  lungo chiuso al mondo esterno, solo  da pochi anni si sta aprendo al turismo. Abbiamo incontrato  numerosi gruppi etnici del nord , scoperto  aspri paesaggi montani e una natura spesso rigogliosa,  ammirato gli straordinari  templi. Sempre circondati da una popolazione cordiale e sorridente, ancora non affascinata dalla civilta’ del consumo.

Le citta’  sono incantevoli. Luang Prabang (Patrimonio Mondiale dell’Umanita’), circondata da montagne e foreste, ha mantenuto un’atmosfera intatta e pittoresca. Fondata nel 1352 sulla confluenza dei fiumi Nam e Mekong,  è la più antica città loatiana, capitale del regno di Lan Xang che costituì il nucleo del paese. Vientiane è l’attuale capitale e interessante citta’ euroasiatica di frontiera, con i suoi caratteristici templi

La CAMBOGIA  – Un paese con un passato difficile che l’ha tenuto lontano dal frenetico sviluppo indocinese. Phnom Penh con  il meraviglioso palazzo reale, la Silver Pagoda, il museo nazionale e il museo Tuol Sleng, centro di detenzione e tortura durante l’agghiacciante  regime di Pol Pot.  La straordinaria ricchezza archeologica della piana dei templi di Angkor ( Patrimonio Mondiale dell’Umanita’) e il villaggio galleggiante sulle rive del Tonle Sap

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Namibia

“Namibia Breve” (Giugno 2015) di Lorella Bacchini.

La Namibia è un paese africano diverso da tutti gli altri, perche’ è riuscito a coniugare Africa e Europa, nero e bianco.
E’ quindi un viaggio vario e un concentrato di tante bellezze: le svettanti dune del NAMIB PARK che arrivano fino all’oceano, la desertica SKELETON COAST con i suoi relitti spiaggiati lungo la costa, le calde tonalità del massiccio dello SPITZKOPPE, la colonia di otarie a CAPE CROSS, i fenicotteri di WALVIS BAY,  il nord più selvaggio al confine con l’Angola dove gli HIMBA ancora conservano con orgoglio le proprie tradizioni di pastori nomadi.

E il PARCO ETOSHA, una riserva che copre una superficie di oltre 20.000 km quadrati. Qui,  guidando sulle sue piste di terra battuta , si possono avvistare i “big five” (leoni, rinoceronti, elefanti, bufali e leopardi), oltre a tantissime altre specie animali come giraffe, gnu, orici, antilopi, impala, zebre.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Antille Olandesi

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ABC – ARUBA BONAIRE E CURACAO di Stefano Soldà
Aruba è la più turistica e organizzata ma non per questo meno bella. Le spiagge sono favolose.
Bonaire ha degli splendidi fondali (soprattutto Klein Bonaire) vero paradiso per i diver piu’ appassionati.
Curacao ha la capitale più graziosa oltre ad essere la produttrice del famoso liquore colorato, le spiagge sono spettacolari.
Un viaggio di mare e di visita delle tre isole al largo del Venezuela, il programma è intervallato da parchi naturali e saline, il relax ed il mare la fanno da padroni, l’atmosfera dei Caraibi vi contagerà tra grigliate di pesce la sera, fenicotteri rosa e splendidi tramonti.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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